NipPopBookClub/2: L’isola dei senza memoria.


Cos’è l’uomo senza i suoi ricordi? Questa è la domanda attorno alla quale ruota il romanzo L’isola dei senza memoria di Ogawa Yōko, un’inquietante distopia che sottolinea l’importanza della memoria.

Ogawa Yōko è considerata una delle più importanti scrittrici giapponesi contemporanee. Nata nel 1962 a Okayama, esordisce nel 1988 con il romanzo Quando la farfalla si sbriciolò (Agehachō ga kowareru toki 揚羽蝶が壊れる時) con cui si aggiudica il premio letterario Kaien per scrittori esordienti. I due lavori Una perfetta stanza d’ospedale (Kanpekina byōshitsu 完璧な病室, 1989) e La piscina (Daibingu puru ダイビングプル, 1989) vengono nominati per il prestigioso premio Akutagawa, ma è solo nel 1990 che lo vince con il racconto La Casa della luce (Ninshin karendā 妊娠 カレンダー).
L’autrice diventa famosa anche all’estero grazie all’opera La formula del professore (Hakase no aishita sūshiki 博士の愛した数式), pubblicata nel 2004 e diventata un bestseller, arrivando a vendere 236.000 copie.
Inizia la sua carriera in un momento particolare per il Giappone, che influenzerà molto il suo stile di scrittura e le sue tematiche, il cosiddetto “post-baburu Japan”, un periodo caratterizzato da una forte crisi economica e politica. E la sua scrittura tagliente ed essenziale si sposa alla perfezione con i temi a lei cari quali la morte, le relazioni difficili, l’esplorazione della natura umana e il ricordo. In particolare, quest’ultimo è il tema centrale de L’isola dei senza memoria (Hisoyakana kesshō 密やかな結晶), uscito in Giappone nel 1994 ma pubblicato in Italia nel 2008 da Il Saggiatore nella traduzione di Laura Testaverde.

La storia è ambientata su un’isola senza nome dove gli abitanti gradualmente perdono i propri ricordi. Non c’è modo di sfuggire a questo fenomeno che colpisce tutto e tutti: le persone si svegliano la mattina avvertendo una vibrazione anomala nell’aria e capiscono che è scomparso qualcosa. Profumi, fotografie, caramelle, carillon, uccelli sono ormai spariti da molto tempo per gli abitanti dell’isola. Quello che viene dimenticato non è cancellato fisicamente dal mondo, ma ad andarsene per sempre è l’idea, l’essenza stessa, i ricordi e le sensazioni legati alla cosa che viene rimossa. Non si riesce più a ricordarne il nome, non si conosce più il suo uso. Ogni volta che gli abitanti si imbattono in qualcosa di dimenticato, in loro c’è solo vuoto e indifferenza

Nastro, campanella, smeraldo, francobollo… Le parole pronunciate da mamma mi eccitavano, come se fossero i nomi di bambine straniere o di nuove varietà di piante. Era divertente fantasticare sul tempo in cui quelle cose esistevano normalmente sull’isola.
Però era anche difficile immaginarselo. Gli oggetti restavano immobili raggomitolati come animaletti in letargo, senza darmi nessun tipo di segnale. Spesso provavo una sensazione di inconsistenza, come se avessi afferrato una nuvola fluttuante nel cielo e ne stessi facendo statuine d’argilla.

Quando avviene una sparizione gli abitanti si liberano il prima possibile degli oggetti materiali. A mettere ancora più pressione sulla vita degli isolani è la polizia segreta, che controlla che tutti si disfino degli oggetti spariti e organizza continue “cacce ai ricordi” volte a catturare chi, per cause sconosciute, non dimentica. Queste persone sono perseguitate e costrette a rifugiarsi in nascondigli segreti per sfuggire dalla polizia.
Nessuno può scappare dall’isola perché sono stati dimenticati i traghetti.
La storia è narrata in prima persona dalla protagonista, una giovane scrittrice, rimasta orfana in seguito alla cattura della madre, in grado di ricordare, e alla successiva morte del padre. Conduce una vita monotona, come quella di ogni altro abitante, continuando inesorabilmente a dimenticare, finché non decide di offrire rifugio al suo editore R, uno dei pochi privilegiati che mantiene ancora tutti i ricordi. Aiutata da un suo vecchio amico, chiamato “nonno”, la protagonista dovrà sopravvivere in un mondo a lei sempre più ostile, dove le “cacce ai ricordi” e le sparizioni si faranno sempre più frequenti.

L’isola dei senza memoria è un’opera più complessa di quello che sembra. Condivide molte caratteristiche con i romanzi distopici ma, allo stesso tempo, ne prende le distanze. La distopia descritta da Ogawa Yōko non ci mostra una società oppressa da uno stato totalitario dominato dalla tecnologia avanzata, ma nemmeno un mondo distrutto da qualche catastrofe. Non ci sono colpi di scena né azioni avvincenti ma tutto viene narrato con uno stile lento e calmo. Allo stesso tempo, l’autrice riesce però a infondere nel lettore un senso di tensione e ansia, e a raffigurare un mondo in cui nessuno di noi vorrebbe mai vivere.
Le vicende si svolgono su un’isola di cui non conosciamo il nome e della quale non ci viene fornita nessuna coordinata geografica. La presenza di macchine da scrivere ci fa capire che il romanzo non è ambientato in epoca contemporanea ma non viene mai menzionato nessun periodo particolare. È una storia che potrebbe svolgersi in qualunque luogo e in qualunque momento. Ad amplificare il senso di alienazione sono i personaggi che, come in molti romanzi di Ogawa Yōko, non hanno nomi; solo l’editore viene chiamato semplicemente R.
La polizia segreta, come in molti romanzi distopici, vigila sugli abitanti dell’isola, punisce chiunque non si conformi alle regole e vorrebbe che le persone fossero tutte uguali. Chi riesce a ricordare - ed è quindi diverso dagli altri - viene perseguitato e costretto a nascondersi, non potendo più condurre una vita normale. Il destino di chi viene catturato è ignoto: spariscono e di loro non si sa più nulla. La polizia segreta appare inizialmente come il principale antagonista ma, procedendo nella storia, ci rendiamo conto che il vero nemico è la perdita della memoria

Il tema su cui è incentrato il romanzo è infatti il ricordo e la sua importanza per l’essere umano

Perché l’energia che si libera al momento di ogni scomparsa è spaventosa: non è violenta, ma radicale, immediata, concentrata. Di questo passo, quando non saremo più in grado di compensare le cose scomparse, l’isola si riempirà di vuoti. Mi angoscia l’idea che diventi vuota, inconsistente e che all’improvviso scompaia senza lasciare traccia. Non ci hai mai pensato, nonno? 

A spaventare gli abitanti dell’isola non è una catastrofe o una malattia; nemmeno la polizia segreta appare così terribile in confronto all’amnesia. Con questo romanzo, Ogawa Yōko sottolinea quanto non sia importante la scomparsa fisica degli oggetti o degli animali, bensì i ricordi e le sensazioni a loro legate. É difficile immaginare come una scrittrice per la quale, fino al giorno prima, i romanzi erano al centro della vita, una mattina si svegli pronunciando queste parole:

Ormai i romanzi sono spariti. Anche se conservassi il manoscritto e i libri, dentro ci sarebbe il vuoto. Nessun contenuto. Posso aguzzare la vista, porgere l’orecchio, annusare l’aria, ma non mi appare nulla.

Sono proprio i romanzi l’arma che viene utilizzata per combattere le sparizioni. Scrivere affinché tutto rimanga e non venga dimenticato. Il principio di verba volant, scripta manent, le parole restano, i ricordi invece fuggono. È questo quello che dà speranza alla protagonista.
Nell’opera si nasconde anche un elemento metaletterario: la protagonista, in quanto scrittrice, sta scrivendo un romanzo che si intreccia alla storia principale. Due racconti che confluiscono nell’epilogo: sembrano inizialmente separati ma, procedendo nella lettura, si realizza che il romanzo nel romanzo è in realtà una metafora della vita della protagonista stessa.

Ogawa Yōko riprende poi altri temi a lei cari come la morte, la solitudine e l’incomprensione nelle relazioni, come possiamo vedere nel rapporto tra la protagonista e il suo editore R, due esseri umani che vedono il mondo con occhi diversi.
Le molte domande che il lettore si pone durante la lettura non sembrano trovare risposta, ma forse è proprio questo l’intento dell’autrice, la quale vuole sottolineare quanto l’uomo sia se stesso solo grazie ai ricordi e a quello che ha vissuto. L’inesorabile oblio porta al completo annullamento del proprio io e della propria coscienza, come suggerisce il titolo originale, traducibile con “la silenziosa cristallizzazione”. È così che Ogawa Yōko pone a noi una domanda: l’uomo è davvero in grado di essere se stesso senza i suoi ricordi? 

Se questo libro vi ha incuriosito o volete esprimere la vostra opinione non potete mancare all’appuntamento con NipPop Book Club il 13 gennaio alle ore 19:00 sulla piattaforma ZOOM!

 

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