NipPop x FEFF24: Intervista a Nakagawa Ryutaro!

 


Continuano le nostre interviste dal Far East Film Festival di Udine. Abbiamo intervistato per voi Nakagawa Ryutaro, il giovanissimo regista del bellissimo e delicatissimo One Day You Will Reach the Sea (Yagate umi e todoku やがて海へ届く) - un film che racconta un amore inespresso e il dolore della perdita.

https://www.youtube.com/watch?v=qLzhTVoOzCs

 

Q:Iniziamo con una domanda più generale: da dove arriva l'ispirazione per One Day You Will Reach the Sea? Perché ha scelto di raccontare questa storia in particolare? Come è nato il progetto?

Nakagawa: Ai tempi dell'università io avevo un carissimo amico che mi ha insegnato molto del cinema. Questo caro amico, tuttavia, dopo la laurea lui… praticamente si è suicidato. Quindi ho sperimentato sulla mia pelle questo grande senso di perdita, e subito prima di ciò c’era stato il grande terremoto del Tōhoku, insieme allo tsunami. C'era quindi una specie di duplicità, non era solo il Giappone come paese a subire una grave perdita, ma io avevo subito questo lutto … e tutto è successo circa dieci anni fa. Anni dopo ho voluto reinterpretare questa sensazione, questi sentimenti, però appunto con distacco, con dieci anni di distanza.

Q:Il film è basato su un libro dallo stesso titolo, vero?

NR: Sì.

Q:Come mai ha scelto proprio questo libro? Sono stati tanti i libri scritti dopo la tragedia di Fukushima, come mai proprio Yagate umi e to todoku (romanzo di Ayase Maru, N.d.R)? 

NR: Non volevo soffermarmi troppo sulla catastrofe in sé, ero più interessato a prendere una persona giovane e raccontare la sua vita dall'adolescenza all'età adulta. Da questo punto di vista Yagate umi e to todoku mi sembrava perfetto. Volevo che il terremoto e lo tsunami fossero più sullo sfondo, e quindi l'ho trovato molto adatto alla storia che volevo raccontare. Inoltre - questo forse è un pensiero peculiare dei giapponesi - di solito riteniamo che la storia si muova in circolo, cioè che una volta morti si ritorni alla natura per poi rinascere. 

 

Q:Una caratteristica molto interessante nel film è che già dai primi minuti del film capiamo che Sumire (una delle due protagoniste, N.d.R) è morta, la sua scomparsa viene rivelata subito, e poi c'è una narrazione a ritroso nel tempo. Questa struttura è presente anche nel romanzo, o è stata inserita successivamente? È in qualche modo una cosa che potremmo definire à la Hitchcock … non più la sorpresa ma la suspense.

NR: L'opera originale in realtà aveva una struttura abbastanza particolare, nel senso che già dall’inizio Sumire veniva risucchiata dallo tsunami e nei capitoli successivi la storia non seguiva necessariamente una temporalità lineare, l'ordine dei capitoli non era necessariamente lineare. Quindi questo aspetto possiamo dire fosse già presente nel testo originale. Già nel romanzo Mana viene subito a sapere che Sumire è venuta a mancare, e quella parte è proprio quella che infatti ho deciso di riportare nell'animazione iniziale, in modo da dare subito l'idea di che cosa potesse essere successo. Un modo anche per far capire quale erano le difficoltà, i problemi da cui la protagonista poi voleva rimettersi in piedi, risalire, risollevarsi. Era importante creare comunque questo tipo di elemento temporale spezzato, secondo me, per dare proprio l'idea di suspense che ha accennato, facendo capire sin dall'inizio che cosa Mana avesse perso e per poi far sì che vedessimo il primo incontro con Sumire solo in seguito.

Q: Parlando ancora della scena iniziale, completamente animata, ci chiedevamo se avesse pensato fin dall'inizio, dalla prima lettura della scenografia, di rendere questa scena di apertura e quella di chiusura attraverso l’animazione? E la scelta di uno stile ad acquerello è sempre stata una sua idea, oppure dello studio d'animazione con cui ha collaborato?

NR: Ho scritto io stesso la sceneggiatura, quindi già dall'inizio avevo deciso di inserirci una parte animata. Ho deciso di non utilizzare un’animazione in stile classico, diciamo, a fotogrammi, perché sentivo che quello che dovevo raccontare avesse bisogno di un’atmosfera più vaga ed effimera, ed è per questo che abbiamo scelto l’acquerello, che può dare un tipo preciso di colore e sfumatura. Senza dubbio i miei due collaboratori nello studio di animazione, Kubo e Maya, mi hanno dato un grande contributo. Io, appunto, ho scritto i punti fondamentali della scena, e poi loro da lì hanno sviluppato lo storyboard e hanno realizzato l'animazione.

È stato un lavoro abbastanza lungo. Ho iniziato scrivendo una poesia, e loro si sono basati su questa mia poesia, su queste mie parole per creare la prima scena. Hanno in primis creato uno storyboard, delle tavole in cui avevano messo buttato giù i frame fondamentali, e poi da lì abbiamo discusso fino ad arrivare a quello che è il risultato finale e che vedete nel film.

 

Q: Nel film c'è un’attenzione particolare per gli oggetti che le persone che vengono a mancare lasciano indietro - dalla videocamera di Sumire ai cd del manager del ristorante. È un focus che è già presente nel romanzo, o se è stato inserito da lei nella sceneggiatura? Se era già presente nel testo originale, ha dovuto adattarlo in un certo modo preciso al diverso medium?

NR: In realtà nel romanzo non sono presenti né il borsellino a forma di gatto né la videocamera di Sumire. Ovviamente io ho letto il romanzo originale e mi sono ispirato a esso, ma quello su cui mi ha fatto più riflettere è: le persone dopo la morte dove vanno a finire? Per chi rimane in vita queste persone alla fine continuano a vivere solo come ricordo, ma come fare a trasporre sullo schermo questo ricordo? Ed è così che ho pensato alla videocamera analogica, di vecchia generazione, che Sumire porta sempre con sé, e poi anche appunto all'idea del borsellino del gatto. Quindi, sì, sono mie idee originali.

Q: Il film riflette molto anche sulla funzione del video, dell’atto del riprendere: lo vediamo sia come strumento di conforto per chi viene lasciato indietro, ma anche come strumento di testimonianza, di memoria, perché raccoglie le storie di chi è sopravvissuto alla catastrofe, e infine come filtro. Ad esempio si scopre che Sumire usa la videocamera anche come una “barriera” che mette tra sé e le altre persone, attraverso la quale lei si sente più a suo agio a parlare con gli altri. Cosa voleva trasmettere al pubblico?

NR: Innanzitutto grazie della bellissima domanda. Sì, la videocamera è uno strumento di scoperta. Pensiamo ad esempio a quando si fa una passeggiata: se quando fai una passeggiata porti con te una telecamera ti accorgerai di cose di cui forse non ti saresti accorto semplicemente camminando. Ma pensiamo anche al personaggio di Sumire. Sumire era molto brava a capire ciò che era distante da lei, a capire ciò che sarebbe successo in futuro, ma non era brava né a capire se stessa, né a capire ciò che era vicino, ciò che aveva ai suoi piedi. Quindi, in realtà, attraverso la telecamera lei riusciva a trovare se stessa, a capire ciò che era più nelle sue vicinanze. Al contrario Mana, invece, non era capace di capire ciò che era distante ma comprendeva benissimo ciò che era vicino a lei. [...] Certo, la videocamera può anche diventare una barriera, ma anche una specie di metafora del film stesso - perché poi è appunto una telecamera ciò che è stato utilizzato per fare le riprese dei sopravvissuti di tsunami e terremoto.

 

Q: Parlando proprio di queste interviste ai sopravvissuti: la sensazione è che siano storie vere, raccontate da persone che hanno vissuto la catastrofe. È così, o sono semplicemente riprese da storie di altri sopravvissuti? 

NR: La maggior parte delle persone che si vedono in quella scena sono tutte realmente dei sopravvissuti al grande tsunami e terremoto del Tōhoku. La ragazza che cantava non è una diretta sopravvissuta, però le tre persone che si vedono prima di lei hanno davvero perso il loro paese a causa del disastro. Ho portato gli altri attori nel Tōhoku in modo che potessero farne esperienza e parlare, comunicare direttamente con i sopravvissuti, in modo che anche la loro interpretazione potesse essere più realistica. Questo secondo me è importante, perché si tratta di un film dove c’è un elemento di realtà, la catastrofe, e uno di irrealtà, la storia di Sumire e Mana. Era quindi importante fare in modo che la distanza fra la realtà e la fiction fosse chiusa il più possibile.

Q: Come ha deciso che cosa includere di queste esperienze? Cosa voleva comunicare a proposito del dolore dei sopravvissuti?

NR: Quello che volevo cercare di trasmettere è il fatto che si possono perdere non solo persone, ma anche panorami, e tutta una serie di elementi. Vi faccio l’esempio pratico dell’enorme argine che si vede nel film, un enorme muro alto decine di metri che è stato posto a protezione ad argine contro futuri tsunami. Sinceramente per me vederlo è stato totalmente surreale. Le persone che hanno vissuto la loro vita con il mare lo hanno sempre visto, ne hanno sempre percepito il profumo. Invece, questo grande muro impedisce alle future generazioni di godere del panorama del mare, di poterne sentire il profumo - al di là del fatto che non so quanto questo argine poi possa davvero proteggere le persone da futuri tsunami. Infine, l'ultima donna intervistata dice che ha perso la sua comunità: ecco, quello che io volevo far capire tramite le loro parole era il senso di perdita, una perdita che poteva anche essere di una persona, ma anche di un luogo o di un panorama.

Q: Come ha scelto le testimonianze da includere? Ha fatto una casting call? Perché proprio queste tre persone, queste tre storie? Erano forse le più rappresentative da inserire nel film? 

NR: In realtà sono sempre stati solo loro tre, non c'è stato un vero casting. Ho fatto varie interviste, quello sì, ma andando avanti nella produzione mi sono rivolto solo a queste tre persone. Non c’era una rosa di persone da cui sono state scelte, nel fare le varie interviste ho interagito di più con loro e le ho poi inserite all’interno della storia.

 

Q: Parliamo invece del ruolo degli elementi naturali nel film. Abbiamo il mare, già nel titolo, che potrebbe sembrare avere un ruolo ambivalente: è una forza distrugge, ma dà anche molta serenità. Il mare viene rappresentato molto spesso come qualcosa di molto poetico. Anche la pioggia appare in molte scene, e nell’animazione finale vediamo dei fiori. La natura in qualche modo riflette i pensieri e i sentimenti dei protagonisti?

NR: La dicotomia tra distruzione e serenità è sicuramente presente. Forse tutto parte dal fatto che mio padre è cristiano, mentre mia madre invece segue una filosofia che rispetta molto la natura. Non so se questo abbia davvero a che fare con questa mia scelta, ma può darsi di sì. Da questo punto di vista io posso dire che, come hai giustamente osservato, il mare ha questa duplicità, questa dualità: da un lato può dare tanta serenità, dall’altro può essere distruttivo, uccidere - come d’altronde sono anche gli esseri umani. Tuttavia, sono anche dell'idea che tutto sia connesso, tutto è in circolo. In questo mondo ci sono persone vive e persone morte, ma non sono assolutamente separate. Chi è vivo tiene dentro di sé chi è morto, e questo è un concetto che io volevo assolutamente trasmettere all'interno del film.

Q: In One Day You Will Reach the Sea si parla ovviamente di come gestire la perdita di un amico, ma anche della sensazione di isolamento di chi non sa come gestire questa situazione. Questa è un’esperienza condivisa sicuramente da tante persone, come nel caso del terremoto, ma si può applicare anche ora in tempi di pandemia. Cosa ne pensa?

NR: Assolutamente, sono d’accordo. Molto di tutto ciò che è presente nel film si basa su questo senso di perdita e di solitudine. Però, alla fine, anche in un mondo senza tsunami e senza coronavirus il senso di perdita e di solitudine rimangono nell'essere umano. Io ho perso questo mio carissimo amico in un momento in cui nel mondo non c'era stato uno tsunami, non c'era il COVID e non c'erano guerre, ma l'ho perso lo stesso. Alla fine tutti gli esseri umani portano sempre con loro sempre un fardello, e questo poi è anche qualcosa che possiamo riscontrare nel cinema, nei film, ma anche in qualunque altro prodotto culturale.

Q: Parlando del rapporto tra Mana e Sumire: entrambe sono innamorate dell'altra, ma nessuna delle due ha capito di essere ricambiata. Solo alla fine, guardando i video lasciati dall’amica, Mana si rende conto di quelli che erano i veri sentimenti di Sumire. Questo rapporto sentimentale tra le due era già presente nel romanzo o è stato inserito da lei?

NR: No, non c'era niente di tutto questo nel romanzo originale, che tratta il rapporto tra le due senza alcuna connotazione amorosa, solo come un’amicizia profonda. Sono stato io ad aggiungere l’aspetto sentimentale. 

 

 

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