Sotto un cielo stellato di periferia - “Ritorno alle stelle” di Arata Kurumi


“Un cielo stellato di periferia, dove non arriva lo spettacolo dei fuochi d’artificio, ha un suo valore, tanto da far fermare le persone, che all’improvviso alzano la testa. Ma io lo trovavo insopportabile, dal momento che avevo la sensazione che quel cielo mi guardasse dall’alto in basso prendendomi in giro”

Che da allora sia passato solo qualche anno, o che sia oramai un ricordo lontano, qualsiasi lettore che abbia già sperimentato l’acerba stagione dei sedici anni riuscirà a comprendere perfettamente il sentimento di frustrazione e inadeguatezza del giovane Mashiba nelle prime pagine di Ritorno alle stelle, edito in Italia da Atmosphere Libri, nella traduzione di Giuseppe Giordano. Un litigio con i genitori, l’ennesima insufficienza in matematica, la prima volta con il cuore spezzato. Quello sguardo esasperato, quel “perché?” silenzioso, almeno una volta, al cielo, lo abbiamo rivolto tutti. Eppure, con la routine della vita adulta, che spietata si espande lenta e inesorabile nelle nostre giornate come una grigia macchia d’olio, riusciamo a ridurre perfino quegli anni di emozioni travolgenti e incontrollabili a un ricordo ovattato e ormai innocuo che, anche se raccontato, risulta solo un’istantanea sbiadita dai contorni incerti. 

Arata Kurumi riesce nell’impossibile e ci fa osservare il mondo attraverso gli occhi degli adolescenti, eliminando la scomoda impalcatura della maturità. Il trucco, come spesso accade nei giochi di magia, è semplice quanto efficace: è una montatura, questa, che lei stessa ancora non conosce. Classe 2003, l’autrice, coetanea dei suoi personaggi, debutta nel panorama letterario nel 2020 proprio con Ritorno alle stelle (in lingua originale Hoshi ni kaereyo 星に帰れよ), aggiudicandosi così una menzione speciale in occasione della 57a edizione del Premio Bungei, e diventando la seconda più giovane scrittrice ad aver ottenuto tale riconoscimento.
Sfogliando le pagine di questo breve romanzo, composto soltanto da tre capitoli, non è difficile ritrovare la motivazione del successo che ha riscosso fra la critica. Lo stile di Arata lascia di stucco quando si pensa alla sua giovanissima età: ricco di metafore inedite, ricercato e concettuale eppure pulito ed elegante, le parole scorrono sulla pagina in un flusso armonioso e continuo, in aggraziate pennellate di detto, non detto, e immaginato, che nulla hanno da invidiare ad autori ben più navigati, e che creano non poche aspettative sulle opere che potrà regalare in futuro questa promessa della letteratura giapponese contemporanea. 

Quella che ci racconta Arata non è l’adolescenza infiocchettata dei rom-com da grande pubblico, fatta di cliché ormai usurati e falò sulla spiaggia; il centinaio di pagine del libro aprono un taglio vivo sulla vita dei tre protagonisti, uno spaccato cinico e disincantato dove alcune scene, che lasciamo ai futuri lettori il piacere di scoprire, irrompono senza preavviso con un impatto che travolge e fa vacillare.

Mashiba, il classico ragazzone gagliardo e impulsivo alle prese con i normali problemi che un giovane affronta nel passaggio alla vita adulta, negli anni turbolenti in cui, come dice lui stesso, maledissi le mie corde vocali acerbe che s’erano appena modificate, senza però diventare né carne né pesce
Mayu, che dietro a una carriera scolastica immacolata quanto la cancelleria custodita nel tenero astuccio a forma di gattino e al sorriso ammaliante degno di una idol, cela degli insetti velenosi e una seconda vita segreta nella quale tutto, perfino una carezza, deve trovare il suo posto in un incastro di pura materialità e utilitarismo.
E infine Morfina, la stramboide, come la definisce Mashiba, alla continua ricerca di una nuova battuta o di un gesto eccessivo e stravagante che susciti l’ilarità compagni, per riuscire - come ammette lei stessa - a sentirsi vuota, a rinchiudere il suo cervello in uno stato di torpore che le permetta di dimenticare, almeno per un po’, un passato doloroso e straziante legato proprio alla scelta del suo singolare soprannome.
Le vite e i sentimenti di questi ragazzi si incontrano e si allontanano giorno dopo giorno come nel moto continuo delle onde sul bagnasciuga, nel mattino di un’aula polverosa in una scuola di provincia, e sotto la pallida luce dei lampioni nella notte, in un piccolo parco di periferia.

Altra grande protagonista dell’opera infatti, come suggerisce già il titolo, è proprio la notte, o meglio il cielo stellato, che placido veglia sull’evolversi della narrazione, suscitando emozioni diverse nei tre adolescenti, che ne forniranno tre diverse interpretazioni, oltre a un’interessante riflessione che l’autrice affida alla voce del padre di Morfina, e che risuona oggi drammaticamente attuale.
Il keitai, il telefono cellulare, diventato compagno imprescindibile delle nostre giornate tanto da creare, un po’ come la morfina, problemi di astinenza in caso di interruzione improvvisa del dosaggio, è in effetti l’ultimo personaggio che non posso esimermi dal chiamare in scena. L’influenza ineludibile dei social networks, che costringe a un’eterna lotta tra identità e omologazione soprattutto i giovanissimi, così come gli effetti disastrosi che da questa possono scaturire, aleggiano angoscianti su tutta la vicenda diventandone in alcuni casi il motore trainante.

Il finale, come molte volte accade secondo un gusto caratteristico della tradizione letteraria nipponica con cui noi lettori stranieri spesso fatichiamo a fare pace, arriva quasi inaspettato e rimane ostinatamente aperto. Sorpresi e leggermente indispettiti rimaniamo a interrogarci e a fantasticare sulle vicende future di Mashiba, Mayu e Morfina, nel proseguimento del loro cammino verso l’età adulta.
Fortunatamente, il volume ci regala ancora alcune pagine preziose con le quali consolarci grazie all’interessante postfazione del traduttore e curatore dell’edizione italiana Giuseppe Giordano, che, pur non potendo rispondere agli interrogativi su quello che Arata Kurumi non ci dice, propone però una rilettura armonica di quanto abbiamo appena letto e un’analisi pregevole delle diverse tematiche e chiavi interpretative.

In definitiva, Ritorno alle stelle è un libro che si legge tutto d’un fiato e che - come già sottolineato - ci lascia con il desiderio di sapere di più. Una storia che sicuramente consigliamo a chi è in cerca di una lettura veloce ma non effimera, a chi ripensa con onestà e misurata malinconia agli anni dell’adolescenza con i loro alti e bassi, senza trasformarli nel mito di una giovinezza perfetta che nessuno può dire davvero di aver vissuto.