“Nel cuore di Yamato”, cinque racconti: la natura, le tradizioni e il wa come fili conduttori


"Nel cuore di Yamato" è una pentalogia della scrittrice Aki Shimazaki. I cinque racconti descrivono il Giappone dal secondo dopoguerra in poi e ci mostrano il vero cuore nascosto di questo paese, con le sue tradizioni e le sue strutture sociali. L’autrice, con la sua scrittura semplice, asciutta, ma profonda nella sua analisi dei sentimenti umani più intimi, descrive personaggi che lottano divisi tra l’affermazione della libertà individuale e l’accettazione passiva delle imposizioni sociali.

Cala il silenzio. Guardo la finestra, come se fossi in un sogno. Grossi fiocchi di neve volteggiano nel vento. Sembra un turbinio di petali. In Giappone fra non molto arriverà la stagione dei ciliegi. […] Sento una stretta al cuore. Le lacrime mi annebbiano la vista.

Aki Shimazaki
Aki Shimazaki, giapponese di nascita e canadese d’adozione, dal 1991 vive a Montréal, dove insegna giapponese. Nonostante il francese sia la lingua d’elezione per la scrittura, l’autrice resta legata, nelle storie che racconta, al suo paese di origine. La sua pentalogia, Il peso dei segreti, ha vinto nel 2005 il Prix du Gouverneur général. I suoi libri sono tradotti in inglese, giapponese, serbo, tedesco, russo, italiano e ungherese. I suoi scrittori di riferimento sono Marguerite Duras, Dazai Osamu a Ágota Kristóf. Nel cuore di Yamato riunisce cinque racconti pubblicati dall’editore Leméac in Québec tra il 2006 e il 2013.

Nel cuore di Yamato: l’evocazione della natura
I titoli dei racconti della raccolta Nel cuore di Yamato sono tutti riconducibili alla natura e hanno il nome giapponese di una pianta, di un fiore o di un animale. Mitsuba, Zakuro, Tonbo, Tsukushi, Yamabuki ritorneranno spesso nei racconti con funzione evocativa e saranno uno dei tanti fili conduttori di queste cinque storie. Pioniera giapponese della tecnica di utilizzare il nome di un elemento naturale come titolo evocativo di un racconto è Yoshiya Nobuko con Storie di fiori. In questa raccolta le donne, protagoniste indiscusse della letteratura shōjo, incarnano il fiore rappresentato dal titolo di ciascun racconto. Allo stesso modo, Aki Shimazaki paragona una delle protagoniste dei suoi racconti al bellissimo fiore di yamabuki.

I fiori di di questa specie di yamabuki hanno i frutti, a differenza di quelli con più file di petali, come dice il waka. Ma non fioriscono tutti gli anni. […] Comincia a sistemare i rami. Muove le mani con grazia. Contemplo il kimono dal colore bruno, sobrio e raffinato, su cui splende l’oro dei fiori. Le dico - Mi perdoni l’indiscrezione, ma vorrei sapere perché insegna la cerimonia del tè quasi gratuitamente. Continuando a sistemare i fiori, mi spiega - Per colpa dello spirito militarista e della guerra abbiamo perso le nostre tradizioni artistiche. […] - Siamo poveri, dice. Non è il momento di fare corsi sulla cerimonia del tè. Ma voglio continuare a insegnarla, così che la gente sia fiera di custodire le nostre belle tradizioni. Le sue parole mi commuovono. Quando il corso finisce, faccio un inchino più profondo del solito. Mentre lascio la stanza, la signora T. mi spiega che uno dei significati dello yamabuki è “signorilità”.

Il cuore del Giappone: la storia, le tradizioni e l’arte 
I racconti seguono le vicende di cinque personaggi che prendono la parola per raccontare le loro storie, i loro sentimenti e le loro difficoltà. Queste storie di vita personale spaziano in epoche diverse e si intrecciano fra loro mostrando uno spaccato del paese dal secondo dopoguerra in poi. I diversi racconti hanno tutti qualcosa in comune, dei leitmotiv, tra i quali spiccano l’esaltazione dell’arte e delle tradizioni giapponesi, e lo spirito del wa. Yamato, l’antico nome del Giappone, scomposto nei suoi ideogrammi assume il significato di “grande wa”, ossia “grande armonia”. L’armonia rappresentata dal wa è centrale nella cultura nipponica e nelle sue tradizioni ed è fondamento stesso dello spirito giapponese. Alla fine del libro è presente un glossario che raccoglie un insieme di parole giapponesi trascritte in rōmaji che ritornano frequentemente all’interno dei racconti. L’autrice non solo racconta una serie di storie brevi tanto dense di sentimenti da lasciare un segno, ma descrive e racconta una cultura, quella giapponese. La cultura e le tradizioni che troviamo in questa raccolta spaziano dal famoso ikebana, l’arte giapponese di creare con fiori, foglie ed elementi vegetali composizioni dal significato simbolico, alle canzoni tradizionali come Akatonbo (libellula rossa). Questi elementi tipici della cultura nipponica ricorrono frequentemente nelle storie di Shimazaki, a sottolineare l’importanza del tramandare le tradizioni del proprio paese. L’immersione completa nel cuore del Giappone non si limita alle tradizioni artistiche, ma si allarga alla storia del paese e alle sue strutture sociali, complesse e difficilmente comprensibili ai gaijin, gli stranieri. Uno dei racconti tratteggia un lucido ritratto del sistema scolastico attraverso i teijisei, i licei serali, e i juku, i corsi privati frequentati dagli studenti in orario serale e nel weekend per prepararsi agli esami d’ammissione delle varie scuole. Shimazaki ci mostra così uno spaccato del sistema educativo giapponese, caratterizzato da competizioni, pressione e profondo rigore. In generale la posizione sociale condiziona i protagonisti di tutte le storie, costretti ai miai, incontri combinati in vista di un matrimonio, e al tama no koji, matrimonio fra una ragazza povera e un uomo di alto rango. La scrittrice ci mostra la condizione delle donne impossibilitate a scegliere chi amare, a seguire i propri sogni e sentimenti, limitate anche nelle scelte lavorative: si tratta di problematiche ancora vive nel Giappone contemporaneo. E poi la storia, un altro degli ingredienti fondamentali di questa semplice ma profonda raccolta, che ci trasporta nel Giappone del secondo dopoguerra con i misteriosi segreti riguardanti l’epoca delle deportazioni in Siberia, le bombe che hanno distrutto le città nipponiche e la vita in Manciuria durante la seconda guerra mondiale.

Riguardo alla carriera femminile, i miei sono molto conservatori, in particolare mio padre che odia l’espressione kyaria-ūman (donna in carriera). Desideravano che mi sposassi, al più tardi a ventiquattro anni, con un uomo che avesse un lavoro sicuro, come un funzionario.

La storia in un romanzo: il Giappone del secondo dopoguerra
Dopo il discorso di resa incondizionata, tenuto dall’imperatore Hirohito il 15 agosto 1945, il paese subì una profonda trasformazione. Le forze alleate, guidate dagli Stati Uniti e dal generale MacArthur, occuparono il Giappone fino al 1952, anno in cui l’arcipelago tornò a essere uno stato indipendente. Gli anni dell’occupazione segnarono una profonda trasformazione nel paese dal punto di vista culturale, giuridico ed economico. L’economia giapponese in particolare subì una spinta negli anni a cavallo tra il 1950 e il 1960. Gli zaibatsu, i grandi gruppi industriali e finanziari monopolistici nati in epoca Edo, furono formalmente smantellati: gli asset familiari furono espropriati, le holding a capo dei gruppi eliminate e i consigli d’amministrazione interconnessi furono messi fuori legge. Tuttavia, nonostante i tentativi delle forze di occupazione, questi gruppi non furono mai completamente dissolti, ma vennero sostituiti dai keiretsu, raggruppamenti di imprese operanti in settori diversi. Gli anni ’70 furono caratterizzata da una serie di problematiche determinate dal boom economico degli anni precedenti, come la vertiginosa crescita demografica nelle città con il dilagare dell’inquinamento acustico e atmosferico, le crisi energetiche e l’aumento dell’inflazione che causò un’insufficienza di beni di consumo. Il paese nipponico riuscì tuttavia a risollevarsi da questa crisi iniziale, mantenendo un buon tasso di crescita. Alla fine degli anni ’80, grazie all’apprezzamento dello yen e alla conseguente concessione di prestiti a basso tasso di interesse, numerose imprese e cittadini investirono nel mercato azionario e immobiliare. Le banche stimolavano con offerte allettanti la domanda della clientela, ma la speculazione portò, tra il 1989 e il 1990, allo scoppio della cosiddetta bolla: a causa dell’insolvenza dei clienti le banche erano impossibilitate a riscuotere i prestiti concessi. Questo periodo fu caratterizzato da un’iniziale recessione, seguita da un breve periodo di ripresa per merito della politica fiscale mirata a sostenere il mercato e a evitare il crollo delle banche. Nonostante i tentativi di ripresa, le banche crollarono e ne conseguì un secondo periodo di recessione. Iniziò così il cosiddetto ushinawareta jūnen, il decennio perduto, termine che designa il periodo compreso tra il 1991 e il 2001, caratterizzato da una fallimentare politica economica, dal calo delle nascite, dall’aumento della disoccupazione e dal graduale invecchiamento della popolazione.

Per un attimo, il colore dello zakuro mi distrae. Il rosso evoca la bandiera dell’Unione Sovietica: il colore del sangue. Mio padre ha scritto che, guardando la testa tagliata in due di un cadavere, gli erano venuti in mente questi frutti. Credo che non voglia più vederne né mangiarne.

L’amore e il wa
L’amore regna come protagonista indiscusso dei racconti di Aki Shimazaki, in tutte le sue forme: l’amore tra coppie, l’amore tra genitori e figli e l’amore per la propria tradizione e la propria cultura. Il leitmotiv principale di questi racconti tuttavia è il wa, il Giappone stesso. Sue sono le tradizioni, l’arte, la storia che si rincorrono nei racconti. Immergersi in questa raccolta è come trovare la chiave di un giardino segreto, misterioso e complesso, il cuore del Giappone, che viene così svelato anche ai gaijin.

Alla fine dell’articolo, trovo un pezzo di carta e un ritaglio di giornale ingiallito. Sul foglio sono appuntate alcune frasi. È la calligrafia meticolosa di mio padre. La fisso con un misto di nostalgia e dolore. Sul ritaglio c’è la foto di due libellule che si accoppiano formando un cuore. Mio padre aveva scritto che l’imperatore Jinmu, contemplando il suo paese Yamato dalla cima di una montagna, dice: “Akizu no toname no gotoku ni aru kana”. Ossia: “La forma del paese somiglia a due libellule che si accoppiano”. “Akizu” o “Akiza-shima” sono le parole antiche per indicare tonbo, che significa anche Yamato, “Giappone”. Dall’epoca Heian, il paese si chiama anche Akitsu.

 

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