Guardarsi “dal di fuori” e “dal di dentro”: le ‘Fiabe di letto’ di Mori Yōko

 


Con Fiabe di letto, edito da Lindau nella traduzione e curatela di Giuliana Carli e Daniela Travaglini con Greta Annese, Mori Yōko e i suoi racconti arrivano per la prima volta in Italia – un’imperdibile occasione di scoprire un’autrice ancora molto amata, diventata l’icona di un’epoca, quella della bolla economica, che ha cambiato per sempre il volto del Giappone.

Diciotto racconti e un breve saggio per scoprire Mori Yōko (1941-1993), pseudonimo di Itō Masayo, scrittrice diventata famosa alla fine degli anni Settanta e voce di una nuova generazione di donne alla ricerca di modi di vivere e di modelli di femminilità diversi.

Ci si potrebbe chiedere perché oggi sia un’epoca di furin. Ebbene, io credo che le donne, con molta probabilità, abbiano cominciato a guardarsi in faccia. Si scoprono dal di fuori e dal di dentro, ascoltano la propria voce, riflettono in maniera profonda su come debba essere la propria vita.

(Da “Jōji” a “furin”, p. 257)

 

È così che nel breve scritto a metà fra saggio e racconto presente a fine volume Mori Yōko parla del suo tempo, di quella che veniva definita “un’epoca di furin”, di relazioni extraconiugali. Mori non si limita a osservare dall’esterno, bensì descrive quella che è stata l’esperienza non solo di tantissime donne giapponesi in quegli anni, ma anche la sua. Alla fine dei suoi trent’anni Mori Yōko poteva dire di aver ottenuto tutto quello che una donna poteva desiderare all’epoca – un buon matrimonio, dei figli, una casa di proprietà e una in cui passare ogni anno le vacanze estive, un lavoro part-time che la facesse sentire realizzata anche dal punto di vista professionale. Ma, allo stesso tempo, si rende conto che tutto questo non le basta, che si sente rinchiusa nel suo ruolo di moglie e madre, e sente il bisogno di cercare qualcosa di altro al di fuori delle mura domestiche.

Da questa insoddisfazione e da questa ricerca nasce Fame d’amore, in originale Jōji 情事, un racconto lungo che per primo racchiude tutti i temi cari all’autrice: la malinconia, la sensazione di oppressione data dai ruoli prestabiliti, la percezione di essere condannate a un’eterna immobilità in una società che invece si muove a un ritmo sempre più frenetico. Pubblicato nel 1978, riscuoterà un grandissimo successo, arrivando a vincere il premio Subaru di quell’anno.

Copertina dell’edizione giapponese più recente di Fame d’amore

 

Fame d’amore racconta di una relazione extraconiugale fra la protagonista, Yōko, e un affascinante straniero, incontrato per caso in una calda sera d’estate in un bar a Roppongi. Una storia nata su una bugia, su un non detto che diventa sempre più ingombrante, destinata a non durare più di quel poco che rimane della bella stagione. Ma, come racconta l’autrice stessa, Jōji introduce quella che verrà vista come una rivoluzione nel genere: la mancanza del senso di colpa legato al tradimento del proprio marito. Le protagoniste di questi racconti non affogano nel rimorso, non si struggono pensando al peccato compiuto, ma sono consapevoli dei loro gesti e dei motivi che le portano a compierli – citando di nuovo Mori, riflettono su sé stesse e si guardano “dal di fuori”. E guardandosi dal di fuori spesso scoprono che la vita che conducono, per quanto piena di agi, lussi e sicurezze, non le soddisfa, che il ruolo di moglie e madre va loro stretto. È un periodo in cui le donne iniziano a non voler più essere messe da parte una volta sposate, e a volte iniziano anche a non voler più sposarsi.

Sono queste le donne protagoniste delle Fiabe di letto di Mori Yōko, donne che hanno preso coscienza della propria condizione e che decidono di non stare più al gioco. Pur facendo propri i topoi e le convenzioni della letteratura rosa, al cuore di questi racconti c’è un’attenta riflessione su quella che era (ed è) la condizione femminile, in Giappone e non solo. Una riflessione che nasce dalle esperienze di vita vissuta, da quello che Mori vedeva intorno a sé, ma che non si limita certo alla società giapponese.

Per secoli incatenate nel ruolo di angelo del focolare e per questo relegate a forza ai margini della società, fra gli anni Settanta e Ottanta le donne giapponesi (e non solo) iniziano a pensare a modi nuovi di vivere la propria vita, a modi nuovi di essere donna. E chi di loro si trova incastrata in un matrimonio infelice – o semplicemente freddo, dove vengono viste come governanti o educatrici della prole prima che come compagne di vita – prova in tutti i modi a ‘riprendersi’ un posto nella società, a creare una vita propria al di fuori delle mura domestiche.

Perché è questo che spinge le protagoniste dei racconti (diverse fra loro e allo stesso tempo molto simili, spesso accomunate anche dal nome, Yōko) a cercare di sfuggire, di uscire ‘fuori’ dal vincolo, fuori dal cerchio – furin, appunto. Un senso di insoddisfazione che è facile da comprendere, e che ci permette di apprezzare queste piccole avventure e scappatelle che le protagoniste si concedono.

Non è solo l’insoddisfazione nel rapporto coniugale a essere al centro dell’attenzione, ma anche l’ansia legata al tempo che passa, che scorre inesorabile lasciando segni visibili sul corpo. Giorni, settimane, mesi e anni che sfuggono, che scivolano fra le dita, mentre si resta a guardarlo immobili. È questo che terrorizza molte delle donne in questi racconti: l’essere spettatrici passive della propria vita, rinchiuse in una scintillante prigione dorata. L’ansia di invecchiare, di non essere più attraenti, di diventare ancora più invisibili in una società che già le rinchiude in ruoli e azioni prestabiliti, in sentieri nell’ombra già tracciati.

Allo stesso tempo, le opere di Mori ci riportano indietro agli anni d’oro della bolla economica giapponese: anni di consumismo sfrenato, in cui l’economia nel paese raggiunge vette altissime e il mercato del lavoro continua ad espandersi, arrivando a includere sempre più donne che iniziano a cercare una realizzazione personale anche nella vita professionale – un mondo, anche questo, al di fuori della famiglia e della vita coniugale.

Sono diversi i posti che ricorrono in queste storie: la Roppongi dei primi anni ’80 dall’atmosfera internazionale, ma anche Karuizawa come luogo privilegiato di villeggiatura, e i silenziosi e forse anche troppo tranquilli sobborghi alla periferia della metropoli. È in particolare la Roppongi di quegli anni a essere evocata dalla penna abile di Mori Yōko: i locali, le discoteche, i club dove si suonava musica jazz fino a tarda notte, il famosissimo Café Almond davanti alla cui insegna rosa ci si ritrovava – una zona di Tokyo che ha segnato la storia di quel periodo e che ora, dopo i recenti rinnovamenti dei primi anni Duemila, non esiste più.

La città non è solo uno sfondo inerte e passivo nelle Fiabe di letto, ma appare quasi come un’entità dotata di vita propria, che catalizza e porta alla luce sia le ansie più profonde che i desideri più nascosti delle protagoniste. Come scrive la traduttrice Daniela Travaglini sul suo blog.

Nei suoi racconti, i ricchi e vivaci quartieri di Tokyo fanno da cornice a tradimenti consumati o solo immaginari, a vite segrete, a desideri frustrati o appagati clandestinamente. Ma soprattutto emerge con forza, spesso drammatica, il bisogno di autodeterminazione che anima le protagoniste, in un paese dove le donne erano ancora sottoposte a rigide convenzioni e spesso intrappolate in matrimoni infelici.

Un volume prezioso, quindi, un omaggio postumo alla sagacia e arguzia di Mori Yōko che raccoglie alcuni dei suoi racconti migliori scritti non solo agli inizi, ma anche negli anni più maturi della sua carriera. Infatti se Fame d’amore è l’opera con cui ha debuttato e ha conquistato il pubblico, nel corso del volume vengono presentati lavori da diverse raccolte: Fiabe di letto (Beddo no otogibanashi ベッドのおとぎ話), pubblicata in due parti nel 1986 e nel 1989, Il sogno di Cleopatra (Kureopatora no yume クレオパトラの夢) del 1987, e infine Senza rancore (Wakare jōzu 別れ上手) sempre del 1986. Un vero e proprio viaggio alla scoperta del mondo e della scrittura di Mori, delle ansie e delle felicità delle donne del tempo (e non solo), e di quel Giappone della bolla economica che ormai non esiste più.

 
 
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