NipPop @ FEFF18: Blue Christmas

Sempre sotto il segno di Beyond Godzilla - Futuri alternativi e scenari, ieri al Far East Film Festival di Udine è stato proiettato Blue Christmas (Burū Kurisimasu ブルークリスマス) di Okamoto Kihachi, classe 1924, realizzato su sceneggiatura di Kuramoto So nel 1978.

Conosciuto anche con i titoli di Blood Type: Blue or The Blue Stigma, il film si differenzia da quelli visti fino ad ora nella rassegna sulla cinematografia di fantascienza giapponese sia per la mancanza di eclatanti effetti speciali tipici della produzione Toho del periodo (ricordo che il film è stato realizzato sempre da questa casa di produzione), sia per uno stile e una vena narrativa che lasciano trasparire le influenze della produzione precedente del regista. Okamodo, infatti, era noto per i suoi film di gangster come The big boss (Ankokugai no kaoyaku 暗黒街の顔役) del 1959, nei quali si ritrova una forte influenza da parte del cinema western americano, e di samurai come The sword of doom (Dai-bosatsu Tōge 大菩薩峠, 1966), nonché per le sue pellicole di impronta storica, nelle quali traspone la sua esperienza personale sul fronte durante la seconda guerra mondiale, come in Desperado outspot (Dokuritsu gurentai 独立愚連隊) del 1959 o Blood and sand (Chi to suna 血と砂) del 1965.

La trama, che risulta difficile da seguire a causa della presenza di molti personaggi e sequenze non sempre fluide e lineari, narra la classica storia di un'invasione aliena sulla terra, che questa volta avviene attraverso la contaminazione del corpo umano: il contatto con i raggi cosmici inviati dagli UFO presenti nello spazio, infatti, trasforma il sangue da rosso in blu, sottomettendo le vittime a uno strano volere che le rende pacifiche e mansuete.

Si incrociano, così, più storie tra loro, dall'ufficiale dei servizi segreti (Oki) incaricato di contrastare l'invasione dei "sangue blu" che si innamora della figlia del suo parrucchiere (Saeko), destinata a essere uccisa proprio da lui a causa del contagio alieno, al giornalista (Minami) che inizia a indagare sul suicidio di un'attrice famosa (Yoko) contaminata, e che si ritrova a fare i conti con i grandi capi della comunicazione mediatica giapponese che tentano di ostacolarlo nella ricerca, al Ministro della difesa che vuole debellare una situazione che in potenza potrebbe essere pericolosa, fino alla sparizione di uno scienziato (Dott. Hyodo) che in una conferenza stampa aveva confermato la reale esistenza degli alieni nell'universo, destando scalpore, e aveva fatto ricerche sul mutamento del sangue umano.

    

Un film, quindi, molto intrigante, che offre bellissimi scorci di una New York anni 70, supportato da una colonna sonora di musiche concitate che completano il crescendo del ritmo della storia, esplodendo in una sparatoria degna di un film gangster. Particolare la scelta di introdurre nella trama, anche se in modo un po' troppo debole, l'arrivo in Giappone di una rock band chiamata Humanoids, forse un richiamo indiretto proprio a David Bowie che nel 1973 era approdato a Tokyo con il fenomeno dell'alieno Ziggy Stardust, accolto con molto entusiasmo dal fandom giapponese.

Interessanti, inoltre, i riferimenti storici alla storia del nazismo, che Okamoto inserisce in modo esplicito sia attraverso "annunci televisivi" sia nello svolgimento della trama stessa: nella seconda parte della pellicola, infatti, quando ormai risulta incontenibile la notizia del contagio degli umani che secondo le previsioni nel giro di pochi anni sarebbero diventati la "razza" prevalente sulla terra, la soluzione trovata dal governo giapponese sarà deportare gli infettati in un campo siberiano (si scoprirà poi che in questi luoghi verranno fatti esperimenti di vivisezione sui corpi, trasformando le persone in cavie da laboratorio senza diritti), attraverso la cooperazione con gli americani: nonostante non si sappia se questo contagio sia pericoloso o meno per la salvaguardia dell'uomo - potenzialmente gli infettati non sono pericolosi, anzi sembrano molto tranquilli -, si sceglie di prevenire possibili problematiche future attraverso lo sviluppo della paura per il diverso, isolando coloro che non sono "normali".

 

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