Yamazaki Mari @NipPop

Intervista realizzata a Bologna il 18 dicembre 2014, in occasione della presentazione di PIL presso la galleria ONO Arte Contemporanea.

Per NipPop: Francesca Scotti

 

NipPop: Siamo qui da ONO Arte per presentare il volume recentemente pubblicato da Rizzoli Lizard, PIL di Yamazaki Mari, e l’autrice gentilmente ha accettato di concederci un’intervista. La ringraziamo e le diamo il benvenuto a Bologna.

Yamazaki Mari: Grazie a voi, mi fa sempre piacere tornare a Bologna. Veramente, anche se si tratta solo di un’ora e mezza di distanza, quando vengo qui sento subito la differenza.

 

NP.: Comincerei con la prima domanda, relativa al titolo: PIL, dall’acronimo di un gruppo metal-punk. Quindi, qual é il ruolo della musica e della passione musicale all’interno di questa storia?

Y:M.: La scelta del punk in effetti, come avevo tentato di esprimere nel fumetto, é dovuta al fatto che la protagonista adolescente si “sincronizza” in qualche modo con il mio passato, anche se la storia non risulta esattamente uguale alla mia biografia. Io ho frequentato una scuola privata, il Sacro Cuore: non so se funzioni allo stesso modo anche in Italia, ma da noi é caratterizzata da una certa rigidità, non ci si può comportare liberamente. In Giappone, poi, c’é il costume di vestirsi con l’uniforme, con regole molte rigide che disciplinano la vita scolastica. Io non andavo per niente bene, soprattutto perché sono cresciuta in una famiglia molto particolare che, dalla generazione del mio bisnonno, ha sempre avuto un certo rapporto con l’estero. Il mio bisnonno aveva in casa un manuale italiano per imparare a suonare diversi strumenti, e questo già all’epoca Meiji. Successivamente mio nonno ha vissuto negli Stati Uniti per circa 11 anni, dal 1915 al 1925, e poi mia mamma che é stata direttrice d’orchestra. Per cui si può dire che ho sempre vissuto a stretto contatto con lo stimolo della cultura occidentale, ed é proprio per questo motivo che nessuno all’interno della mia famiglia mi ha mai obbligato a sottostare al sistema. Se non mi andava di fare qualcosa, mia madre non si opponeva e si limitava a dirmi “ Fa’ come vuoi”. Per fare un esempio, il fatto di dover tenere i capelli lunghi oltre le spalle e di legarli con un fiocco bianco a me pareva una vera assurdità, così decisi di fare un taglio completo per non dovermene più preoccupare. Mi dava fastidio dovere controllare ogni mattina la lunghezza o l’aspetto dei miei capelli e così ho pensato di eliminare il problema alla radice. A parte questo, nutrivo una forte simpatia per il punk, volevo ribellarmi al sistema.

 

NP.: Noi conosciamo anche altri tuoi successi come Thermae Romae e si può dire che il tuo lavoro abbia già delle “stelle” in questa costellazione, però dal punto di vista grafico questo testo presenta un tratto caratteristico: scegli dei colori particolari, c’é molta dolcezza, ben mescolata alla durezza del punk. Come hai lavorato tecnicamente?

Y.M.: Prima di tutto c’é da dire che non ci ho pensato tanto, così come succede per la realizzazione di tutti i miei fumetti. Non penso mai prima al metodo di lavoro. Però dato che lo dovevo pubblicare su una rivista dedicata a un pubblico di età compresa fra i 25 e i 50 anni addirittura, doveva trattarsi di un’opera molto “flessibile”, non troppo originale, per non rischiare di escludere una determinata generazione di lettori. Ho pensato a qualcosa che potesse andare bene a tutti. Il concetto cardine é senza dubbio il punk però volevo introdurre anche lo Shōwa, l’epoca precedente al cambiamento del Giappone, in modo tale da addolcire un po’ il tutto. E così la struttura si é plasmata da sé, piano piano, a partire dal momento in cui l’ho cominciata.

 

NP.: Come dicevi prima la protagonista, quindi anche tu, attraversa una fase della vita particolare, delicata, il passaggio all’adolescenza, e quindi all’età adulta. Quanto é difficile secondo te definirsi e diventare grandi? E secondo te in Giappone é più difficile diventare grandi e avere una propria identità?

Y.M.: Sì, questo senso di oppressione noi lo avvertiamo fin da piccoli. E anche quando diventiamo grandi, comunque la libertà di pensiero non viene accettata e persiste una certa chiusura mentale. Per esempio, se tu sei una persona un po’ particolare purtroppo i giapponesi hanno una mentalità per la quale tendono a escluderti, e in generale a escludere la diversità.

Un problema molto grave in Giappone é quello per cui tanti bambini soffrono per il fatto di non sentirsi ben integrati con gli altri, proprio perché si sentono diversi. Io stessa sono sempre stata “diversa”, anche perché la mia famiglia era particolare e non sempre ben vista dalle altre, eppure non si faceva problemi a pensare in maniera autonoma e non le importava dell’opinione altrui. Nessuno ci ha mai detto come comportarci, non ritenevamo necessario omologarci agli altri. E chissà, magari se fossi cresciuta in un’altra famiglia sarei stata così anch’io, ma visto che nessuno dei miei parenti, né mio nonno, né mia madre, si preoccupava per il fatto di sembrare diverso, mi posso ritenere molto fortunata da questo punto di vista. Tuttavia vedo che in questa società, non solo i bambini ma anche i grandi, sono costretti a guardare sempre l’effetto che hanno sugli altri per vedere sé stessi. Non hanno uno “specchio”: lo specchio ce l’hanno gli altri, per questo devi sempre essere come ti vogliono loro. Quindi ho sempre avuto l’idea di essere controtendenza, forse é nata dal mio primo viaggio in Europa da sola, per un mese, quando avevo 14 anni. Quell’esperienza mi ha fatto davvero crescere, proprio perché mi ha fatto capire la normalità di essere diversi.

 

NP.: Questo é un bellissimo concetto: la normalità di essere diversi.

Y.M.: Certo, siamo tutti diversi.

 

NP.: Un altro tema centrale di PIL é l’incontro tra due generazioni, il nonno e un’adolescente. Ed é una scelta abbastanza particolare, raccontare lo scontro generazionale con queste tipologie di personaggi, colti in due momenti della vita così differenti, ma che hanno anche dei momenti di contatto, in alcune fragilità che si compensano. Come mai hai scelto questi due personaggi? Di nuovo una scelta basata sulla tua esperienza?

Y.M.: E’ una scelta venuta molto spontaneamente. Mi é bastato ricordare mio nonno, che era una persona veramente speciale. Non era esattamente uguale alla figura che ho presentato nel libro. Ha avuto un passato molto felice, per cui riusciva a sopravvivere semplicemente ricordandolo. Così a volte mi insegnava qualche parola di inglese, visto il ricordo nitido che aveva conservato dalla sua esperienza in America, oppure mi mostrava vecchie foto delle sue esperienze là.

Per questo ho sempre pensato sarebbe stato bello realizzare un fumetto dedicato a mio nonno: é troppo interessante come “fenomeno”. Poi mi é venuto in mente un periodo in cui mia mamma non c’era e io e lui vivevamo da soli: quegli anni mi hanno ispirato. Inizialmente non volevo fare un fumetto con questi due personaggi come protagonisti, addirittura avevo pensato di riprendere il periodo in cui, quando avevo 16 anni, lavoravo in un bar dove c’erano un sacco di persone molto strane, particolari…poi mi sono ricordata che all’epoca io ero una ragazza molto stravagante, con un abbigliamento particolare e con la passione per il punk, quindi ho deciso di spostare un po’ l’ “itinerario” del fumetto. E così é riemersa spontaneamente l’immagine di mio nonno.

I protagonisti sono due figure che sembrano diverse ma sono entrambe accomunate dall’aspetto di cui parlavo prima: la diversità. In effetti, in famiglia siamo sempre stati strani, ”speciali”, nonostante fossimo giapponesi. Quindi mi piaceva l’idea della convivenza di queste due persone che sono sempre state strane ma che stanno bene fra loro e non sentono il peso di quell’oppressione, pur trovandosi in Giappone e, proprio per questo, si divertono molto.

 

NP.: Grazie davvero per questa intervista. Speriamo ci sia presto occasione di presentare qualcos’altro, insieme.

 

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