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Le origini del visual kei

29 Marzo 2014
Stefania Viol

Una rubrica tutta dedicata al visual kei, a cura di Stefania Viol.

Il visual kei è conosciuto in tutto il mondo per essere un fenomeno peculiare della scena musicale giapponese, nato tra la metà e la fine degli anni ‘80. Per quanto questo tratto di giapponesità venga enfatizzato, spesso oltre misura, dai media internazionali, non si può non riconoscerne l’unicità: non vi sono esempi significativi di altri movimenti che condividono la varietà e l’estetica trasgressiva che caratterizzano questo fenomeno. Ma dove affonda le sue radici?

Data la varietà di stili musicali che si ritrovano all’interno del filone, il sound non è un fattore caratterizzante del visual kei. Generalmente, la sua musicalità affonda le radici nei movimenti riconducibili al mondo del rock occidentale: principalmente hard rock ed heavy metal, ma anche industrial rock, progressive rock, gothic metal e molti altri ancora. Tuttavia, non si può dimenticare l’influenza di due movimenti della tradizione giapponese: il Japanese heavy metal (o japameta) e il kayōkyoku. Infatti, è principalmente l’influenza di questi due stili che, mischiata a quelle provenienti da oltreoceano, gli ha dato un tocco di originalità.

Anche a proposito dell’estetica, criterio fondamentale per il visual kei, si possono evidenziare due filoni principali di influenza: occidentale e giapponese. I media sono soliti affermare che il movimento si è ispirato al glam rock: a un primo sguardo, i costumi dai colori sgargianti, esagerati e pomposi, le capigliature cotonate e l’utilizzo del trucco da parte di artisti di sesso maschile per ottenere un look androgino, possono sembrare riconducibili allo stile visual kei. Tuttavia, alcuni studiosi si mostrano scettici nei confronti di questa teoria e sottolineano come il visual kei e il glam rock siano due movimenti temporalmente, spazialmente e culturalmente troppo distanti per pensare che i giovani giapponesi possano essersi ispirati direttamente a quel movimento, il cui boom si era da tempo esaurito quando questi si sono avvicinati alla musica. Inoltre, se si considera il look delle prime band visual kei della fine degli anni ’80 e dei primissimi anni ’90, si può facilmente notare che la loro estetica si distaccava sensibilmente da quella del glam rock: i costumi di scena utilizzati erano principalmente di pelle nera, accostabili allo stile delle band heavy metal statunitensi degli anni ‘70/80, e le creste colorate e di varie forme sfoggiate dagli artisti, assenti nel glam rock, richiamano lo stile punk inglese. Tuttavia, con la sua androginia, il glam rock fu fonte di ispirazione ideale: lasciò intravedere la via per la creazione di un’immagine di gender alternativa, mai presa in considerazione prima nel mondo della musica rock. La più grande affinità tra visual kei e glam rock è da individuarsi nel tipo di categorizzazione, che si basa per la prima volta non sul sound, quanto su elementi di tipo estetico. È dunque possibile azzardare che questo movimento abbia avuto un’influenza maggiore sull’approccio critico e di categorizzazione delle band nei vari generi, piuttosto che direttamente sugli artisti.

L’influenza giocata dalla cultura autoctona sul visual kei si rileva principalmente in tre ambiti: la tradizione teatrale (kabuki eTakarazuka), lo shōjo manga e il japameta. Le principali similitudini estetiche tra il kabuki e il primo visual kei sono il trucco e le capigliature. I kumadori del kabuki sono famosi in tutto il mondo: un trucco formato da una base bianca, detta shironuri, su cui vengono applicate linee di colore su fronte, occhi e bocca. Esistono circa 50 tipi di kumadori, e tra questi, quelli più facilmente accostabili al visual kei sono il nihon guma (utilizza due linee di colore rosso, una all’altezza degli occhi e una sulle sopracciglia, entrambe allungate in modo da accentuare il profilo del naso) e il mukimi guma (formato da una sola linea morbida e tondeggiante che segue il profilo dell’occhio in tutta la sua lunghezza unendolo alle sopracciglia). Si può infatti notare come i primi artisti visual kei sfoggiassero, su una base di shironuri, un trucco che esaltasse la forma allungata dell’occhio tramite l’utilizzo di eyeliner e ombretti dai colori compatti che ne coprivano interamente la lunghezza, colmando lo spazio tra l’occhio e le sopracciglia e allungandosi a enfatizzare il profilo del naso.

Alcuni punti di convergenza tra le acconciature dei due movimenti possono essere individuati in una fase leggermente più tarda, intorno al 1992, quando gli artisti abbandonarono gradualmente le creste che li avevano prima caratterizzati per ripiegare su capigliature molto voluminose, che possono essere riconducibili a quelle presentate nel teatro kabuki.

Le band condividono anche la filosofia di base di questa forma teatrale: trasgredire e apparire. Il kabuki, teatro esclusivamente maschile, si caratterizza per l’utilizzo di costumi pomposi dal forte impatto visivo, e per il trucco che, con la sua forza espressiva, doveva sostituire le maschere utilizzate nelle altre tradizioni teatrali. L’attore di kabuki Handō Kamesaburō sottolinea questo legame in un commento su un numero speciale della rivista SHOXX del 1997:

“La prima volta che ho visto gli X da bambino, ho pensato che fossero come il renjishi 連獅子 (danza del leone) del kabuki. Sia il V kei [1] che il kabuki condividono l’espressione del fascino non quotidiano, reso tramite l’utilizzo del trucco. Emaniamo lo stesso profumo… Ho pensato: ci siamo rubati le idee!”.

Inoltre, il kabuki continua tutt’ora a far interpretare ruoli femminili ad attori di sesso maschile, gli onnagata: sotto questo aspetto, si può interpretare l’androginia e, in certi casi, il vero e proprio josō (vestirsi da donna) del visual kei come un elemento di continuità con la tradizione.

Il Takarazuka [2] condivide la filosofia di base del kabuki e del successivo visual kei: sono tutti movimenti culturali che puntano nell’enfatizzare la propria performance tramite l’utilizzo di costumi e trucco. Inoltre, il mondo del Takarazuka ha avuto un’influenza molto forte sul look di tutte le band che si richiamano al mondo dell’aristocrazia europea del passato, come i MALICE MIZER, che hanno trovato in questa forma teatrale un forte impatto visivo che ben si adattava alla trasposizione sui loro palchi: lo stesso MANA affermò di aver preso come riferimento l'estetica del Takarazuka per l'elaborazione dello stile di base del suo gruppo.

Iori Naoka, celebre otokoyaku, afferma che il punto in comune tra il Takarazuka e i MALICE MIZER sta nel fatto di inscenare un mondo fantastico e sognante: infatti, moltissime band visual kei curano minuziosamente la scenografia di esibizioni, video e servizi fotografici creando un'atmosfera che da la possibilità ai fan di immergersi in un altro mondo. La stessa attrice prosegue poi ponendo l'accento sulla diversità e complementarietà di questo universo parallelo, affermando: “noi vogliamo che le persone che ci guardano vadano verso il mondo della luce, i MALICE MIZER mostrano agli spettatori il mondo dell'oscurità e della paura”. Iori evidenzia dunque come le band visual kei dallo spirito gotico e barocco rappresentino l'altra faccia del Takarakuza: entrambi utilizzano il trucco e i costumi al fine di costruire il loro mondo ideale, arrivando a un risultato opposto, ma complementare come la luce e l'oscurità.

L’affinità tra il mondo degli shōjo manga e del visual kei sono tali da spingere alcuni studiosi del genere ad affermare che “sembra che i membri delle band visual kei siano dei personaggi dei manga balzati fuori tridimensionalmente [dalle pagine del fumetto]”. Gli eroi di questi manga sono delle figure ideali, lontane sia dalla realtà sia dagli stereotipi di mascolinità: ragazzi dai bei lineamenti marcati, molto magri e alti, con i lucidi capelli medio-lunghi e gli occhi grandi. Sono tutte caratteristiche che si ritrovano anche negli esili artisti visual kei, che, con l'utilizzo del trucco, puntano a enfatizzare i lineamenti e snellire il viso tipicamente rotondo dei giapponesi, nonché a far apparire gli occhi più grandi, mettendoli in risalto grazie all'eyeliner. Il risultato è lo stesso: si vengono a creare delle figure maschili surreali e transgender.

Inoltre, il mondo del glam rock e del japameta sono sempre stati fonte di ispirazione per le mangaka specializzate in questo genere. Proprio perché i musicisti che ne fanno parte non rispondono ai tradizionali stereotipi di virilità diffusi nella società e appaiono come appartenenti a un mondo diverso rispetto alla quotidianità delle ragazzine giapponesi, si prestano a fare da base per l'elaborazione di modelli maschili alternativi che fanno sognare adolescenti e non. Questi manga hanno effettuato una prima rielaborazione delle estetiche proposte dai musicisti occidentali che ha portato all'esagerazione dei costumi e alla propensione per figure androgine, fornendo le linee guida per la creazione dello stile visual kei. Tuttavia, il manga e il rock hanno da sempre mantenuto un rapporto di reciproca ispirazione, ed è dunque difficile determinare in che misura il primo abbia influito sul secondo e viceversa.

Lo heavy metal autoctono è stato fondamentale anche nella creazione del senso estetico degli artisti successivi. I musicisti del japameta maturarono una forte consapevolezza dell’importanza del look per una band rock, che li portò a porre sempre maggiore attenzione al loro stile. Questo processo culminò con la fusione in un unico look di elementi provenienti da tutte le estetiche proposte dai modelli d’oltreoceano, distaccandosene e facendo nascere due nuovi sottogeneri all’interno del movimento principale: il keshō kei [3] e il kamitate kei [4]. Questi due filoni, che spesso si incrociavano a causa della compresenza dei due elementi, possono essere considerati come i più prossimi antenati del visual kei: vi rientrano tutte le band che presentano un look dal forte impatto visivo, talmente simile allo stile visual che appare impossibile tracciare una linea di confine netta tra i movimenti.

Il visual kei si presenta quindi come un fenomeno che non ha una radice precisa, ma che combina e fonde al suo interno elementi provenienti da svariate tradizioni sia occidentali che giapponesi, sia musicali che non.



[1] Abbreviazione di visual kei

[2] Forma teatrale da molti considerata come la controparte femminile del kabuki, il cui repertorio si basa principalmente nell’interpretazione di storie ambientate in occidente e, in misura minore, di racconti folcloristici giapponesi. Si tratta di una compagnia composta da sole donne, alcune specializzate nell’interpretazione di ruoli maschili (otokoyaku) che pone grande enfasi sul suo impatto visivo sul pubblico.

[3] Keshō kei è un termine tecnico costruito similmente alla parola visual kei: unisce al vocabolo keshō (make up) il suffisso kei, a indicare artisti che hanno come caratteristica comune l'utilizzo di un trucco molto pesante.

[4] Kamitate kei , la cui costruzione riflette quella del termine precedente, è un'etichetta che raggruppa al suo interno artisti che si caratterizzavano per le creste di varie forme che sfoggiavano: infatti, kamitate significa letteralmente “capelli alzati”.

 

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