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Japanese Heels – L’estate in noir di M.me Red

29 Agosto 2018
Tommaso Banzi


Pensieri, parole, visioni, fragili come i più sottili e slanciati dei tacchi a spillo. Una rubrica firmata M.me Red.

M.me Red ama l’estate. Le lunghe giornate pigre, da trascorrere nella penombra ristoratrice che invoglia alla lettura, sorseggiando vino bianco ghiacciato alle pesche. E cosa c’è di meglio di un noir per aggiungere un ulteriore brivido rinfrescante?

Il Giappone offre sempre un’ampia scelta sul tema, e la vostra M.me Red nell’estate 2018 si è davvero sbizzarrita, esplorando anche generi per lei inusuali. Ma non sono certo le sfide a intimorirla! E quindi oggi, rispolvera i tacchi a spillo per titillare le vostre papille raccontandovi di Utsubora, novità targata Coconino Press, terza uscita della collana Doku, nell’elegante traduzione di Paolo La Marca.

Il tratto glamorous di Asumiko Nakamura non poteva non colpire la vostra trendsetter preferita: grafico, verticale, essenziale, seduttivo e seducente, le linee si inseguono fluide in un gioco di costruzione e decostruzione della pagina, della figura, della narrazione che non vede né inizio né fine. Perché in Utsubora tout se tient, nulla vive di vita propria, sconnesso dall’insieme.

SE NON C’È UN “QUI”, NON CI POTRÀ ESSERE UN “ALTROVE”. SE NON C’È UN “ALTROVE”, NON CI POTRÀ ESSERE UN “QUI”. QUANDO MI SONO RESA CONTO CHE QUESTE DUE REALTÀ NON POTEVANO ESISTERE L’UNA SENZA L’ALTRA…

IO…

… HO PERSO DI VISTA I CONFINI DI QUESTO MONDO.

E – soprattutto – ogni elemento ha un suo doppio: due scrittori, due scritture, due romanzi, due investigatori. Due affascinanti e ambigue femmes fatales, una specchio dell’altra, motori e vittime della vicenda che si dipana un disegno dopo l’altro.

Fujino Aki, il corpo che precipita in verticale scivolando lungo la facciata di un grattacielo come tanti, i lunghi capelli neri, il suo cadavere col volto deturpato: sul suo telefonino soltanto due numeri, quello di Mizorogi Shun, un noto scrittore sulla cresta dell’onda grazie al successo del suo ultimo lavoro, e quello di Miki, la sorella gemella di Aki, un fascino che ricorda la Valentina di Crepax. I due investigatori incaricati delle indagini sull’apparente suicidio, cercano di sciogliere i nodi dei rapporti fra i personaggi, e di fare luce sulla vita di Aki, ma i fili si sdoppiano, si intrecciano, si riannodano, e ogni scoperta, ogni rivelazione, sembra allontanare sempre più la soluzione.

La narrativa giapponese – letteraria, mangaesque, filmica – non è nuova al doppio, ai gemelli, al gioco di specchi, alla mise en abîme, in particolare quando si parla di noir, di misteri da risolvere o nei quali perdersi. A partire da Edogawa Ranpo, che in Sōseiji (Gemelli) del 1924, portato al cinema nel 1999 da uno psichedelico Tsukamoto Shinya, racconta la storia di due fratelli gemelli, uno dei quali uccide l’altro e ne assume l’identità, impadronendosi delle sue fortune e di sua moglie. Ma il gemello morto lo perseguita, lo insegue, lo spia: esattamente quello che lui stesso faceva prima di ucciderlo, per impadronirsi di ogni gesto, ogni abitudine, ogni mania. Come un’immagine riflessa in uno specchio, come il ritorno del sé più profondo, represso per impersonare l’altro. Il doppio è una figura ricorrente nella produzione di Ranpo, nelle sue diverse declinazioni, dalla doppia personalità al travestimento, all’uso di specchi e maschere, e anche lo pseudonimo che adotta evoca un altro scrittore, Edgar Allan Poe.

Se negli anni in cui Ranpo scrive Sōseiji il doppio apre la via al ritorno del rimosso, e incarna la materializzazione dell’irrazionale che la modernità ha cercato di spingere ai margini, di dimenticare, in anni più recenti ritorna a dare corpo e voce alle inquietudini del contemporaneo, che ancora una volta vedono vacillare il concetto stesso di identità. La metropoli, oggi più che mai amalgama di estranei, ritrova intatto il suo potenziale di corrosione ed erosione nei confronti del singolo che, circondato da sconosciuti, si scopre solo. La solitudine ingenera paura, angoscia, inquietudine, quel disagio al quale, sulle orme di Ranpo, il noir continua a dare voce: impossibile non citare qui Kirino Natsuo – scrittrice ben salda nel cuore di M.me Red – e i suoi personaggi che attraverso il crimine esprimono la propria insofferenza verso la società. Nelle pagine di IN, ultimo dei suoi lavori a essere stato proposto in lingua italiana, edito da Neri Pozza nella traduzione di Gianluca Coci, proprio come in Utsubora, non c’è nulla che non abbia un doppio, o uno specchio: due scrittori, due donne apparentemente diversissime e invece così simili da confondersi, due bambine testimoni degli eventi. Due storie d’amore. E anche qui una mise en abîme.

La frustrazione esplode nella violenza, la dinamica spesso malata delle relazioni umane genera il crimine. E’ questo che suggerisce il primo volume di Utsubora, condannando il lettore all’impazienza attesa del secondo e di una conclusione che finalmente sciolga i nodi e consenta di dipanare il filo delle esistenze dei protagonisti.

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