NipPop X FEFF25: “Techno Brothers” di Watanabe Hirobumi

 


Torna Watanabe Hirobumi, accompagnato dal fratello Yuji, a far impazzire la venticinquesima edizione del Far East Film Festival con una pellicola tutta a colori. Comico ed esilarante, in anteprima mondiale proprio nella nostrana Udine, Techno Brothers ci accompagna nello strampalato viaggio verso Tōkyō del trio musicale che dà il titolo all’opera e della loro terribile manager, Himuro.

Watanabe Hirobumi era già noto al festival grazie a una retrospettiva a lui dedicata nel 2020 che ha introdotto il pubblico italiano e internazionale alla figura del regista indipendente tramite quattro sue pellicole: Party ‘Round the Globe (2018), Life Finds a Way (2018), Cry (2019) e I’m Really Good (2020), legate alla casa di produzione fondata dai due fratelli Watanabe, la Foolish Piggies Films. 

La particolare sensibilità del regista salta subito all’occhio, con la predilezione per i silenzi e il bianco e nero, che, affiancata alla spontaneità e naturalezza della recitazione, sfocia in quello che si potrebbe definire uno stile da “homevideo”. Infatti, il cast che ritorna circolarmente nei film di Watanabe coinvolge lo spettatore proprio per la familiarità con cui i personaggi fittizi intersecano le loro vite con l’effettiva famiglia del regista. Troviamo i suoi genitori, la nipotina, il fratello, che interpretando diversi ruoli ci aiutano a sentire la continuità progettuale del “Watanabeverse” (così rinominato da Giorgio Placereani).

Techno Brothers, presentato nel 2023 in anteprima mondiale al FEFF25, ha un incredibile pregio: la musica techno, ovviamente. Composti integralmente da Watanabe Yuji, i segmenti dedicati al gruppo musicale intento a esibirsi per un pubblico che di volta in volta si rivela sempre meno adatto e sempre più confuso dal trio di performer, diventano velocemente un momento in cui si rimpiange di essere in sala e di non poter ballare a tempo di techno. Le musiche (che ancora, purtroppo, non sono presenti sulle piattaforme di streaming musicale!) sono intervallate da scene in full technicolor, diversamente dalle opere precedenti di Watanabe, intrecciate in una trama che attinge a piene mani dalla commedia del nonsense e situazionale. Pur non spiccicando nemmeno una parola per l’intera durata del film, il nostro trio musicale, interpretato dal regista stesso, dal fratello e da un amico dei due (Kurosaki Takanori), rimane solido nella mente dello spettatore, grazie anche a una performance con diretti rimandi estetici ai Blues Brothers grazie agli occhiali da sole e alle camice con cravatta abbinata. L’eccentricità della camicia rossa perennemente indossata dai “fratelli della techno” spicca nelle pianure attorno a Ōtawara (nella prefettura di Tochigi, città natale di Watanabe), che fanno da sfondo a tutto il film.

Infatti, la trama della pellicola dovrebbe focalizzarsi sul viaggio dei Techno Brothers e della loro terribile manager, Himuro (interpretata dall’esordiente Yanagi Asuna), diretti verso la capitale, ma tra un contest musicale o l’altro si ha l’impressione che il loro peregrinare non li abbia portati molto lontani, il che aumenta l’effettiva ilarità del film. E sono proprio i tempi comici che lasciano il segno, in primis la principale gag presentata sullo schermo di cui non ci si stanca mai: il perenne digiuno dei Techno Brothers, imposto forzatamente da Himuro per spronarli a dare di più a ogni performance. La gag apre la via a scene esilaranti nelle quali la manager, parlando a unә camerierә, ordina svariate portate e pietanze, concludendo poi con “e per loro solo dell’acqua, grazie”.

Seguendo Himuro e i Techno Brothers, si ha la perenne sensazione di essere fuori posto: la musica dei fratelli risulta chiaramente più adatta ai locali di una grande città, o per lo meno a un locale notturno dove si faccia musica elettronica! In un certo senso, si può rivedere il percorso di Watanabe, costantemente fuori posto nel mondo del cinema giapponese: provenendo lui stesso da una città marginale a livello nazionale e internazionale, le sue pellicole potrebbero essere come musica techno suonata a una sagra di paese. Mark Schilling, in un suo articolo del 2017 per The Japan Times, lo ha descritto come un regista che vuole presentare storie di uomini ai margini, colti in situazioni fra il quotidiano e il casuale, e probabilmente anche in Techno Brothers ritroviamo un po’ di quella sensazione di essere al di fuori della cerchia mondana di Tōkyō.

Pur non volendo cercare dei significati eccessivamente profondi, il film ci mostra la grande competenza cinematografica di Watanabe (può sfoggiare la sua laurea al Japan Institute of the Moving Image con orgoglio!) con svariati rimandi ad altre pellicole, non solo a livello visivo, come i già citati gli occhiali da sole e camicie, ma anche a livello di trama, con riferimenti non solo a opere statunitensi o europee, ma anche russe, come Leningrad Cowboys Go America (1989) di Aki Kaurismäki. 

Insomma, Watanabe riesce a mettere se stesso in tutti i suoi film, che possono piacere o non piacere, dividere, annoiare, esaltare o confondere, ma rimane, indubbiamente, Watanabe Hirobumi.

 

 

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