Donne altre, altre donne: resistere alla violenza, oltre il Giappone

 


Un incontro speciale all’interno della rassegna di eventi dedicati all’International Women’s Month: una tavola rotonda transculturale per parlare di donne culturalmente ‘altre’, che rivendicano in modi e contesti diversi dignità, diritti, e libertà dal sistema patriarcale.

Negli ultimi anni la questione dell’emancipazione femminile ha assunto una sempre maggiore rilevanza non solo all’interno del nostro contesto culturale, ma anche in paesi e culture geograficamente distanti dalla nostra, diventando a tutti gli effetti un tema discusso e affrontato a livello internazionale. 

Le battaglie per la rivendicazione di pari diritti e pari opportunità continuano, seppur in modi e prospettive diversi, in tutto il mondo. Ma quale è la realtà della condizione femminile al di fuori del nostro ecosistema culturale? In che modo la violenza sistemica di stampo patriarcale si ripropone in paesi e culture che percepiamo come ‘lontane’? È per approfondire questo tema e rispondere a domande come queste, oltre la gabbia di cristallo degli stereotipi, che nasce Donne altre, altre donne, una tavola rotonda transculturale su violenza e stereotipi di genere in Asia e Africa mediterranea con un focus su quattro aree: Cina, Paesi Arabi, Giappone, Iran.

La tavola rotonda è organizzata con il patrocinio e la collaborazione del Dipartimento di Lingue letterature e culture moderne (LILEC) dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna e del Quartiere Santo Stefano del Comune di Bologna. A cura delle docenti LILEC Nahid Norozi, Ines Peta, Paola Scrolavezza e Valeria Zanier.

 

Dove

Sala Biagi del Quartiere Santo Stefano

Via Santo Stefano 119, Bologna

 

Quando

Giovedì 23 marzo, ore 15

 

Gli interventi

Violenza di genere in ambito familiare: il caso della Cina

Sara D’Attoma - Università Ca’ Foscari di Venezia

La violenza di genere perpetrata all’interno dell’ambito familiare è una problematica di rilevanza mondiale, nonché di assoluta e preminente attualità. Non a caso le statistiche sulle violenze domestiche commesse durante l’attuale emergenza sanitaria parlano di un fenomeno preoccupante diffuso in tutti i Paesi e presente a ogni livello sociale. In Cina, però, i tradizionali valori patriarcali sui quali la famiglia fondava le proprie relazioni reputavano le violenze intrafamiliari – in particolare nei confronti delle donne – una componente accettata e del tutto integrata nel normale svolgimento dei rapporti tra persone appartenenti allo stesso lignaggio. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato solo a partire dalla IV Conferenza mondiale sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995, dando avvio al dibattito sul tema della violenza di genere e portando la Cina a redigere annualmente dei report sulla condizione femminile. L’inclusione della fattispecie in una legge nazionale risale invece al 2001 e la prima normativa ad hoc al 2016, quest’ultima mira soprattutto a responsabilizzare la società civile e tende a mettere in secondo piano i meri strumenti giuridici a favore della creazione di una rete di prevenzione.

Sara D'Attoma ha conseguito nel 2015 il titolo di dottoressa di ricerca in Lingue e civiltà dell'Asia e dell'Africa Mediterranea presso l'Università Ca' Foscari Venezia. Dal 2017 è docente a contratto del corso "Legal Institutions - Global Asian Studies Minor” per il Collegio Internazionale Ca’ Foscari e dal 2020 di "Strategie comunicative della lingua cinese" presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Brescia). Ha svolto come assegnista di ricerca presso l'Università degli Studi di Verona un progetto su "Potere e discorso pubblico sulla violenza domestica in Cina". È autrice di numerose pubblicazioni su diritto di famiglia, divorzio e violenza domestica della Repubblica Popolare Cinese, tra queste: Fiori di pioppo al vento: storie di donne cinesi in cerca di diritti, Edizioni Le Lucerne, 2022; Famiglie interrotte: violenza domestica e divorzio nella recente legislazione della Repubblica Popolare Cinese, Sinica Venetiana, 7, Edizioni Ca' Foscari, 2022.

 

Oltre il binomio “violenza di genere e islam”: una lettura femminista e decoloniale

Sara Borrillo - Università di Roma Tor Vergata

Il rapporto tra violenza di genere e islam viene troppo spesso considerato come connaturato, a causa della diffusa interpretazione dell’islam come credo intrinsecamente violento nei confronti delle donne. In alternativa a questo approccio, sovente di stampo orientalista, questo intervento presenterà alcuni elementi del dibattito interno alle società a maggioranza musulmana sul tema, privilegiando voci di alcune femministe che dimostrano l’incompatibilità tra violenza di genere e fede islamica.

Sara Borrillo è ricercatrice (B) in Storia dei paesi islamici presso l’Università di Roma Tor Vergata. Nel 2021 è stata titolare della Cattedra in Studi di Genere del GIS-Genre all’Università Sorbona di Parigi (Paris 1- Panthéon). Presso l’Università “L’Orientale” di Napoli ha ottenuto una laurea magistrale in Relazioni Internazionali dell’Asia e dell’Africa (2008) e il Dottorato in Studi sul Vicino Oriente e Maghreb (2014). All’Università "L’Orientale" è stata ricercatrice post-doc dal 2015 al 2019 con il progetto “Nuove forme di attivismo per i diritti delle donne in Marocco e Tunisia tra continuità e trasformazione”. Ha collaborato con diversi atenei, enti di ricerca, ONG e istituzioni in Italia e all’estero. Autrice del progetto foto-narrativo Svelate. Marocco: femminile plurale (www.svelate.org), ha pubblicato diversi articoli accademici, contributi in volume e la monografia Femminismi e Islam in Marocco. Attiviste laiche, teologhe, predicatrici (Edizioni Scientifiche Italiane, Collana Arabo-islamica, Napoli, 2017).  

 

Donne a lavoro: la violenza latente della discriminazione di genere nel mercato del lavoro in Giappone

Giulia Dugar - Alma Mater Studiorum Università di Bologna

Nonostante si situi in un’area geografica lontana, il Paese del Sol Levante è vicino ai contesti occidentali se paragonato in termini di forme di governo, società e tenore di vita. In particolare, il Giappone si trova afflitto dalle medesime preoccupazioni che in questi anni allarmano molti paesi industrializzati: bassi tassi di fecondità, una popolazione sempre più anziana, i conseguenti squilibri del mercato del lavoro e la crescente pressione sul sistema pensionistico nazionale. In questo quadro seppur diffuso ma comunque poco rassicurate, questo intervento intende offrire una visione di quale posizione occupi la donna in Giappone sia nel contesto societario nel suo complesso, che nello specifico nel mondo del lavoro. Quali opportunità di ingresso e di carriera si prefigurano ad una donna giapponese? E come leggere gli attuali risvolti demografici in virtù di una possibile conciliazione tra vita privata e lavoro? Comprendere la struttura del mercato del lavoro nipponico permette di gettare luce sulle latenti dinamiche di discriminazione di genere che lo permeano.

Giulia Dugar è docente a contratto in Sociologia dei Paesi Asiatici presso l'Università di Bologna e nel Minor con focus sulle società asiatiche presso il Collegio Internazionale dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Dopo aver ottenuto la laurea triennale e magistrale in Lingue e Cultura dell'Asia Orientale, ha conseguito un Master in Fenomeni migratori per poi completare un Dottorato di Ricerca in Scienze Politiche e Sociali presso l'Università di Bologna. Dal 2018 Collabora con la Fondazione Leone Moressa (Venezia), dove assiste alla stesura di report sull'economia del fenomeno migratorio italiano, e dal 2020 con Pandora Rivista (Bologna), spazio cartaceo e digitale consacrato all'osservazione ed analisi delle trasformazioni sociali del presente.

 

Abbracciare l'Islam per sposarsi? Discussioni sul senso di una norma

Minoo Mirshahvalad - Fondazione per le Scienze Religiose di Palermo

In questa occasione si intende riflettere su una questione spinosa relativa al rapporto di genere tra le comunità islamiche e la società italiana che le ospita. Il diritto islamico ha specifiche indicazioni concernenti il matrimonio interreligioso. Per quanto riguarda la donna musulmana, queste norme le precludono ogni possibilità del matrimonio con l'uomo non musulmano. Quindi per realizzare tale matrimonio, l'uomo non musulmano si dovrebbe convertire all'Islam; il che non solamente causa conversioni forzate e strumentali e dunque una chiara violenza al diritto alla libertà di culto delle persone coinvolte, ma anche casi di femminicidio. Alla base di questa norma vi sono visioni ampiamente discutibili sull'autonomia intellettuale della donna e sulle sue capacità economiche. Pertanto, con questo intervento, innanzitutto, si vorrebbe esaminare le radici teologiche che stanno alla base di questo vincolo giuridico e, inoltre, discutere il senso di questa norma per le società odierne.

Minoo Mirshahvalad, ricercatrice della FSCIRE di Palermo, è anche Research Consultant presso l’Universidad Autonoma de Barcelona. Si occupa dei temi della conversione religiosa, dell'immigrazione, di religione e laicità. Nella sua ricerca ha messo in sinergia diverse discipline come la psicologia sociale, gli studi sulla migrazione musulmana in particolare sciita in Italia e il diritto islamico. È autrice di diversi articoli e saggi, tra cui la monografia Gli sciiti in Italia: Il cammino dell’islam minoritario in diaspora, Mercato San Severino: Paguro (2020), e collabora a diverse riviste, tra cui Intersezioni, Jura Gentium, Rivista di Studi Indo-Mediterranei, Storia e politica, Genesis.

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