Il cinema di Koreeda Hirokazu - Intervista a Claudia Bertolé!


Critica cinematografica e docente di Cinema coreano e giapponese presso l’Università di Torino, Claudia Bertolé è sicuramente una delle maggiori esperte in Italia di Koreeda Hirokazu - uno dei registi di punta del panorama cinematografico giapponese contemporaneo. In vista dell’uscita della sua ultima monografia Il cinema di Koreeda Hirokazu. Memoria, assenza, famiglie (Cue Press, 2022) la nostra Paola Scrolavezza l’ha intervistata per voi!

Nel suo cinema Koreeda cerca di raccontare famiglie che non rientrano nel modello normativo ‘nucleare’ e non soddisfano le aspettative della società giapponese, arrivando anche a esplorare definizioni diverse del concetto di ‘famiglia’. Quali sono i film nei quali secondo te Koreeda riesce meglio in questo suo intento?

Claudia Bertolé: Fin dagli esordi Koreeda ha dimostrato interesse a raccontare storie di nuclei familiari in senso ampio, composti da persone unite da legami importanti, anche se non corrispondenti al modello tradizionale di famiglia. Penso a uno dei primi documentari, August Without Him ( Kare no inai hachigatsu ga) del 1994, nel quale la quotidianità del protagonista, Hirata Yutaka - il primo uomo in Giappone a dichiarare pubblicamente di aver contratto il virus HIV da rapporti omosessuali, e che Koreeda riprende e intervista per quasi un anno e mezzo – è raccontata unitamente a quella del ristretto gruppo di amici che lo aiutano e si prendono cura di lui, e che appare a tutti gli effetti come una ‘famiglia’.

Anche in Nobody Knows (Dare mo shinarai, 2004) i quattro giovanissimi fratelli abbandonati dalla madre in un appartamento, sono costretti per necessità a ricreare una sorta di struttura familiare di sostegno, insieme a una ragazzina loro amica; così in I Wish (Kiseki, 2011) alla famiglia originaria formata da padre, madre e dai due giovani fratelli, si verranno a sostituire - per i due ragazzini separati - due nuovi nuclei di riferimento, formati da una parte dai nonni e dalla madre e dall’altra dal padre e dai suoi amici.

Da Father and Son (Soshite chichi ni naru, 2013) in poi Koreeda ha concentrato ancor più la propria attenzione sulle nuove forme di famiglia nella società giapponese. Il film - del 2013 - racconta la storia di due famiglie che, sei anni dopo la nascita, vengono a sapere che i rispettivi figli erano stati scambiati in ospedale. È un’opera che si interroga sul significato profondo dell’essere genitore attraverso le vicissitudini di quattro genitori posti di fronte a una decisione difficile riguardo al futuro dei propri figli e nella quale il regista, con una splendida sequenza finale in cui i membri di entrambe le famiglie entrano insieme nell’edificio dove si trova l’abitazione di una delle due, sembra ipotizzare un nucleo familiare nuovo, allargato, che tenga conto dei legami che si sono venuti a creare.

Anche in Little Sister (Umimachi Diary, 2015) le tre sorelle Kōda decideranno di accogliere Suzu, figlia del padre e di una donna con la quale l’uomo si era formato una nuova famiglia. Senza dubbio però il film che entra maggiormente nel merito di legami tanto intimi e del loro significato è Un affare di famiglia (Manbiki kazoku, 2018). Con questo film Koreeda spinge la riflessione fino alla vera essenza di ciò che intendiamo per famiglia, e lo fa proponendo la storia di un nucleo familiare nel quale i rapporti si reggono unicamente sulla volontà. I membri del gruppo che fa capo a Nobuyo e Osamu hanno scelto di vivere insieme e sostenersi, al di là dei legami di sangue o di parentela. Come ribadisce Nobuyo, la ‘madre’ di famiglia: «Se sei tu a scegliere il legame è più forte».

Da Un affare di famiglia (2018)

 

Così anche nel recente Le buone stelle – Broker (Beurokeo, 2022) i protagonisti – i due uomini che sottraggono neonati dalla baby box per trovare genitori adottivi a pagamento, la giovane ragazza madre e il suo bambino, oltre a un ragazzino di un orfanotrofio – compongono una sorta di ‘famiglia’ anche se temporanea; e infine nella serie The Makanai – Cooking for the Maiko House (Maiko-san Chi no makanai-san, 2023, serie prodotta da Koreeda e della quale ha diretto alcuni episodi) le ragazze nella casa che accoglie le aspiranti maiko e geisha danno vita a un gruppo di reciproco sostegno, a una sorta di famiglia allargata, ricomposta, centro di sviluppo di un articolato sistema di relazioni.

Diverse opere di Koreeda affrontano anche un altro problema molto sentito in Giappone: quello dell’abuso e del maltrattamento fisico, psicologico e verbale di minori. Come vengono raccontate da Koreeda queste situazioni allo stesso tempo incredibilmente delicate e complicate?

CB: Un primo aspetto che viene affrontato in alcuni film di Koreeda è quello dell’abbandono dei minori da parte dei genitori.

Nobody Knows si ispira, in parte, a una vicenda realmente accaduta a Tokyo nel 1988 e che venne definita dai media ‘il caso dei quattro bambini abbandonati nel quartiere di Nishi Sugamo’. La storia è quella di una madre, Keiko, che trasferisce i propri quattro figli in un appartamento, denunciando la presenza solo del maggiore, e poi di fatto li abbandona, rincorrendo il sogno di una nuova relazione. Koreeda descrive con estrema sensibilità le giornate dei quattro fratelli, li riprende nell’arco di un anno all’interno dell’appartamento, propone non un giudizio quanto una riflessione sulle strutture relazionali che si trasformano mentre i bambini cercano con difficoltà un modo per sopravvivere da soli, e il mondo d’attorno non pare neppure accorgersi della loro esistenza. Anche il recente Le buone stelle – Broker indaga storie di abbandono, a partire dal piccolo Woo-sung, adagiato dalla madre davanti a una baby box perché possa trovare qualcuno che si prenda cura di lui. Nello sviluppo della vicenda diverrà evidente che anche Dong-soo, uno dei due protagonisti maschili, ha alle spalle un passato di abbandono. Nel passaggio che riguarda la visita a un centro dove alcuni volontari si occupano di bambini rimasti soli se ne percepisce la memoria dolorosa.

Da Broker (2022)

 

Per quanto riguarda più nello specifico il problema dell’abuso, o del maltrattamento, fisico o psicologico, dei minori, nel film Il terzo omicidio (Sandome no satsujin, 2017) un personaggio in particolare si pone in evidenza: si tratta di Sakie, figlia adolescente di un uomo il cui omicidio avviene proprio nella sequenza di apertura. Koreeda costruisce una protagonista ambigua, e allo stesso tempo dolente: una ragazza per certi versi misteriosa di cui non sono chiari i rapporti con il padre, né con Misumi, reo confesso dell’uccisione del genitore e che l’avrebbe ‘salvata’ da una testimonianza scomoda. Tutto lascia pensare che si tratti di una storia di abusi familiari.

Senza dubbio il film che più entra nel merito è Un affare di famiglia. Nobuyo e Osamu, la coppia della ‘famiglia’ protagonista della vicenda, accolgono una bambina di cinque anni, Yuri, abbandonata dai genitori al freddo sul balcone di casa. La piccola è affamata e infreddolita, a poco a poco il calore del nuovo nucleo familiare le renderà il sorriso. A lei, e alla sua situazione di bambina maltrattata, il regista dedica ampio spazio. Una delle sequenze più toccanti è quella che riguarda Nobuyo e Yuri durante il bagno insieme. L’uso delle luci rende un’atmosfera accogliente, la donna giocherella con la bambina e poi mostra i segni che ha sulle braccia (bruciature causate dal ferro da stiro): allora la piccola le fa vedere i suoi, che sono con tutta probabilità ferite inferte dai veri genitori. In modo più esplicito, nel momento in cui Yuri tornerà a casa dalla madre biologica, sarà evidente quanto la donna non riesca a trattenersi dall’inveire contro di lei. Anche il finale del film è dedicato alla bambina, di nuovo nel ‘recinto’ del balcone di casa, e in particolare al suo sguardo, teso oltre i confini di quello spazio angusto, dell’inquadratura stessa, e di un presente di solitudine.

 Da Un affare di famiglia (2018)

 

Un altro dei temi che ritornano nella produzione di Koreeda è quello dell’incomunicabilità fra i diversi membri delle famiglie disfunzionali che spesso pone al centro delle sue pellicole. Per quale motivo, secondo te, questo tema è così importante all’interno dei suoi film?

CB: L’incomunicabilità tra i membri della famiglia è una tema da tempo all’attenzione di diversi cineasti giapponesi, tra i quali senza dubbio Koreeda.

Nei suoi film l’incomunicabilità è quasi come un virus che poco per volta si propaga nel tessuto familiare e allontana le persone. Penso alla coppia anziana di Still Walking (Aruite mo aruite mo, 2008) la cui mancanza di dialogo viene messa in evidenza durante una riunione di famiglia, in occasione della celebrazione per l’anniversario della morte del figlio più giovane. Un passaggio centrale è proprio quello in cui la madre lascia finalmente intendere al marito di aver sempre saputo del suo tradimento. L’espressione sul viso dell’uomo, nel momento della rivelazione, svela la consapevolezza di come il proprio comportamento abbia condizionato negli anni il rapporto con la moglie.

Un’altra coppia che non comunica è quella formata da Ryota e dalla ex moglie in Ritratto di famiglia con tempesta (Umi yori mo mada fukaku, 2016). Durante la sera che sono costretti a trascorrere insieme a casa della madre di lui a causa del tifone in arrivo, Ryota si avvicina alla donna, ma il gesto rimane incompleto, lei si ritrae e la distanza tra loro è nuovamente una barriera. La comunicazione incompleta è resa in maniera eloquente anche nelle frequenti telefonate tra i due fratellini separati e i genitori in I Wish, così come è evidente nella difficoltà di dialogo tra Fabienne e la figlia in Le verità (La vérité, 2019).

Da Le verità (2019)

 

L’incomunicabilità peraltro non riguarda solo i rapporti tra i membri delle famiglie, ma si estende anche all’interazione delle famiglie stesse con il contesto sociale.

A questo riguardo in diverse opere di Koreeda si ritrovano figure di funzionari o assistenti sociali che per motivi diversi dovrebbero stabilire un contatto con i membri delle famiglie, ma che spesso vengono rappresentati come privi di quella sensibilità ed empatia che potrebbero fondare una relazione comunicativa efficace.

In uno dei suoi primi documentari, However… (Shikashi… Fukushi kirisute no jidai ni, 1991), Koreeda si occupa del caso di una donna morta suicida per il peso di una situazione economica che l’aveva costretta a chiedere il sussidio statale. Una delle sequenze centrali è quella in cui viene fatta sentire la registrazione nella quale la donna racconta la propria triste esperienza dovuta all’approccio molto scorretto da parte di alcuni assistenti sociali: nello stesso momento le riprese mostrano i primi piani dei visi imperturbabili di altri funzionari che si erano lasciati coinvolgere nella realizzazione del film. La stessa imperturbabilità la si ritrova successivamente nelle figure di coloro che, per conto dell’ospedale, comunicano alle famiglie dello scambio dei bambini alla nascita, in Father and Son, oppure nei funzionari che conducono gli interrogatori della ‘famiglia’ in Un affare di famiglia.

L’incomunicabilità in senso ampio è una tematica importante di indagine per una regista che continua, film dopo film, ad approfondire con sensibilità il concetto di famiglia nella società contemporanea, mettendone in evidenza non solo le trasformazioni, ma anche le dinamiche negative.

  • 1
  • 2