Japanese Heels – L’estate di M.me Red: lucciole x lanterne

Pensieri, parole, visioni, fragili come i più sottili e slanciati dei tacchi a spillo. Una rubrica firmata M.me Red.

 

L’afa incalza, e M.me Red sciogliendosi diventa nostalgica. Il Giappone, le feste d’estate, le notti precoci illuminate da lucciole e lanterne.

“Dentro di te, Mitsuyo, si vede una cosa che è tonda, bella, triste. Mi fa pensare a una lucciola” mi disse una volta Makoto. 


“E' una cosa che c' è sempre?” chiesi.

“No, solo quando stiamo in silenzio. Vederla mi piace tantissimo.”

(Banana Yoshimoto, Ricordi di un vicolo cieco)

Anche se oggi, a Tokyo come altrove, avvistare le scie luminose che seguono le lucciole nelle notti estive è sempre più raro, questi minuscoli coleotteri rimangono uno dei simboli irrinunciabili dell’estate giapponese. E il fotografo Hiramatsu Tsuneaki, originario di Okayama – zona di Osaka – è riuscito a immortalarle in una serie di scatti onirici, colti nell’arco di una manciata di anni, dal 2008 al 2011.

Il set è il lungofiume di Hokubo e le protagoniste appartengono a una particolare specie, Genjibotaru, ‘le lucciole dei Genji’, le più diffuse nell’arcipelago insieme alle loro storiche rivali, le Heikebotaru. Come le antiche famiglie dalle quali prendono il nome si contendevano il potere nelle fasi più sanguinose delle cosiddette Guerre Genpei, i fragili insetti si contendono l’attenzione di quanti celebrano l’inizio dell’estate con la caccia – ormai solo nominale – alla loro pallida luce. Luce fredda, di lunghezza d'onda oscillante fra i 500 ed i 650 nanometri.

D’estate, la notte: naturalmente col chiaro di luna; ma anche quando le tenebre sono profonde.

È piacevole allora vedere le lucciole in gran numero rischiarare volando l’oscurità, oppure distinguere solo le luci di alcune di loro.

 (Sei Shōnagon, Note del guanciale)

Ai tempi di Sei Shōnagon, la prima fashion blogger del Sol Levante, lo hotarugari  ovvero la caccia alle lucciole, era un momento che la sfaccendata e raffinata nobiltà di corte attendeva con altrettanta trepidazione della fioritura dei susini, e come tanti altri passatempi dell’aristocrazia venne adottato con entusiasmo dalla vivace e gaudente borghesia dell’epoca Edo. Numerose non a caso le stampe ukiyoe che ritraggono giovani donne, presumibilmente dei quartieri di piacere, seducenti nei loro variopinti kimono e intente a inseguire le lucciole sotto i salici, armate di scatole (per catturare le loro prede) e di ventagli.

Oggi – come dicevamo – è sempre più difficile assistere dal vivo allo spettacolo di queste scie lucenti nel buio, ma per fortuna l’arte ci soccorre. Indimenticabile il dolente Una tomba per le lucciole (Hotaru no haka火垂るの墓) di Isao Takahata, del 1988, dall'omonimo racconto semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka, che vede protagonisti i bambini, indifesi di fronte all'orrore della guerra.

E che dire dello scrittore più globalizzato del momento, ovvero Murakami Haruki?

Anche dopo che la lucciola era scomparsa, la sua scia luminosa restò ancora a lungo dentro di me. Nel buio totale dietro i miei occhi chiusi, quella piccola pallida luce continuò a vagare molto a lungo, come uno spirito inquieto.

In quel buio provai molte volte ad allungare la mano. Le mie dita però non incontravano niente. Quella piccola luce era sempre un po’ più avanti delle mie dita.

(Murakami Haruki, Tokyo Blues – Norwegian Wood)

La fragile scia luminosa si confonde con l’evanescenza dei sentimenti, dei ricordi. E se è così, cosa può esserci di più adatto a salutare l’anno che se ne va?

Direttamente dal popolare programma televisivo di Capodanno NHK Kōhaku Uta Gassen, quella che tradizionalmente è l’ultima canzone a essere intonata dagli ospiti, Hotaru no Hikari.

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