Tra borchie e kimono, tra chitarre elettriche e shamisen: il visual kei unisce il rock e la tradizione.

Una rubrica tutta dedicata al visual kei a cura di Stefania Viol.

Uno dei filoni che più colpisce l’occhio occidentale all’interno dei visual kei è sicuramente quello che alcuni definiscono angura kei: si stratta del filone che accoglie al suo interno tutte quelle band che fanno della tradizione giapponese il fulcro sia del loro lato visual, dai costumi al trucco, sia del loro sound. 

Gli artisti appaiono sul palco avvolti in kimono rielaborati, dai colori sgargianti e dalle trame complesse, e non di rado uniscono a chitarra, basso e batteria, il suono di strumenti tipici giapponesi quali koto e shamisen, prediligendo melodie che rievocano il sound tradizionale: tutto è incentrato sul concept del wafū rokku 和風ロック, cioè un rock dall'atmosfera ‘giapponesizzante’. Il forte legame con la tradizione non si limita ai costumi e al sound delle band, ma va a coinvolgere anche i testi delle canzoni: in un suo saggio, Agne Steponaviciute evidenzia come questa tendenza possa essere interpretata come una versione giapponese dell’estetica gotica, in una sorta di processo di localizzazione, mediante il quale tale estetica viene rielaborata e avvicinata ai canoni classici del contesto socio-culturale all’interno del quale è calata: i vampiri e le rose, due emblemi della sottocultura gotica, vengono rimpiazzati dagli oni, i demoni giapponesi nati dall’immaginazione umana che condividono la natura soprannaturale delle creature fantastiche occidentali che vanno a sostituire, e dai sakura, i fiori di ciliegio che simboleggiano la fragilità del mondo e il suo essere effimero, importanti figure della tradizione giapponese utilizzate per dare un’espressione estetica all’oscurità presente nel cuore e nella mente dell’uomo. Il filone sfocia così in una corrente a metà tra la cultura classica autoctona e la cultura europea, in quello che si può definire un gothic made in Japan.

Se fino a qualche anno fa gli esponenti per eccellenza di questo filone erano i Kagrra, (scioltisi nel 2011) e gli Onmyouza, da qualche tempo un’altra band si sta affermando prepotentemente nel campo: i Kiryu. Ormai al loro settimo anno di attività sotto la BP.Records, una delle agenzie maggiori per quanto riguarda il visual kei, la band si è fatta notare in Giappone come all’estero grazie a un lato visual estremamente ricercato e curato, dove ogni elemento, per quanto rielaborato in forma originale, è carico del fascino del Giappone più tradizionale. Anche le ambientazioni dei loro video clip non sono da meno, e ritraggono sempre paraventi e dipinti dai motivi giapponesizzanti, templi e paesaggi naturali che richiamano l’immaginario collettivo del Giappone per eccellenza.

Nonostante a far da padrone nella loro musica siano i classici strumenti del rock occidentale, i Kiryu riescono a rievocare melodie dal sapore tradizionale, a cui si uniscono testi complessi, pieni di richiami alla tradizione e agli emblemi del paese. I Kiryu sono dunque una band imperdibile per tutti gli amanti del visual kei e del rock, e non solo: perfino coloro che non hanno mai avuto interesse per la musica giapponese resteranno affascinati dall’intensità del Giappone tradizionale che questi artisti fanno rivivere nella loro musica.