Una rubrica tutta dedicata al visual kei a cura di Stefania Viol.
Nello scorso appuntamento della rubrica di NipPop dedicata al visual kei abbiamo dato uno sguardo generale al fandom di questo filone musicale; questa volta andremo ad analizzare nel dettaglio una tipologie specifica di fan, talmente tipica da esserne diventata il volto più noto: le cosplay shōjo, letteralmente “ragazze cosplay”. Come è nato il cosplay? E cosa spinge i fan a farlo?
Come molti di voi già sapranno, il cosplay (abbreviazione di “costume play”) è un fenomeno nato in Giappone nella seconda metà degli anni Settanta nell'ambito delle convention di anime e manga e diventato popolare nei primi anni Ottanta, e consiste nella personificazione un personaggio tramite la copia esatta di costumi, acconciature, trucco, pose e comportamenti tipici. Questa tendenza, inizialmente limitata al mondo dei manga, si è presto allargata anche all’ambito musicale: infatti già verso la fine degli anni Settanta si possono osservare delle forme embrionali di band cosplay, il filone che prende a modello popolari artisti rock del momento. Tuttavia, in questa fase i fan si limitavano a imitare solo specifici aspetti del look delle band, senza arrivare a copiarne completamente lo stile, come avviene nel caso del band cosplay del visual kei: l'evoluzione si ebbe negli anni Novanta, con il boom di questo nuovo filone musicale giapponese. Il look estremamente elaborato e originale proposto dai musicisti del visual kei stimola inevitabilmente la curiosità dei fan, facendo nascere in loro il desiderio di provare a imitarne lo stile nella sua completezza. Si evidenzia un'attenzione quasi ossessiva all'emulazione puntigliosa dello stile, dell'atteggiamento e delle pose dell'artista scelto: è quella che Koizumi Kyōko definisce come kanzen kopī (copia totale) e che, nel giro di pochi anni, a partire dal 1992, diventa un fenomeno così in voga da veder nascere sulle varie riviste musicali rubriche per la pubblicazione delle foto di cosplayer e guide al trucco, alle acconciature e alla creazione di costumi e accessori, nonché pagine dedicate ai negozi dove rivolgersi per i materiali necessari alla loro realizzazione.
Il cosplay è inizialmente nato come mezzo di espressione di dedizione e amore nei confronti di un determinato membro o di un gruppo visual kei, rimanendo strettamente legato ai concerti delle band oggetto di imitazione, dove i fan avevano la possibilità di mostrarsi ai propri idoli e dimostrare di stimarli al punto da voler essere esattamente come loro. Tuttavia, il fenomeno cominciò presto a manifestarsi anche al di fuori delle venue. Nascono cosplay party e ritrovi domenicali per le strade della città, come nel celebre caso dell'area di Jingū Bashi a Harajuku, o dello Ōsakajō Kōen: non si tratta più di una dimostrazione di ammirazione diretta all'artista, quanto di una dichiarazione pubblica, quasi ad annunciare alla società intera il proprio rispetto verso il musicista interpretato e la propria identificazione in quel movimento. Inoltre, da un’indagine svolta da Koizumi nel 2003, emergono casi, seppure sporadici, di ragazze che affermano di essersi appassionate alle band solo dopo aver fatto cosplay. Già a partire dal 1998 si ha dunque un cambiamento radicale nella motivazione che anima una parte delle cosplayer: questa attività non è altro che un vero e proprio gioco, un passatempo in cui l'amore per la band è messo in secondo piano. È il caso delle cosplay fan, ragazze che passano da anime a visual kei, da artista ad artista per soddisfare la propria passione per quest’attività.
Anche se in alcuni casi la trasposizione del fenomeno in una realtà più quotidiana, come quella del Jingū Bashi, può essere spiegata con il suo carattere ludico, molto più spesso risponde alla ricerca di modelli identitari alternativi. Il ricercatore Johnathon John ha intervistato molte di queste wannabe al fine di individuare il motivo che le spinge a fare cosplay, e ha evidenziato come la maggioranza delle ragazze abbia risposto che per loro questo è un mezzo tramite il quale esprimere se stesse; e quasi tutte adottano un nome fittizio, come a sottolineare un cambio d’identità da una se stessa falsa e prigioniera della quotidianità alla vera se stessa, libera e spontanea. Anche le ragazze intervistate da Koizumi Kyōko spesso ribadiscono la distinzione tra l’ambito quotidiano e quello del cosplay, riconoscendo nel secondo la propria individualità autentica, e nel primo un sé costruito a tavolino. Tuttavia, il cosplay consiste nell'interpretazione di qualcun altro: più che un'affermazione della propria individualità, più verosimilmente perseguita dalla controparte maschile del fandom visual kei, che, come si vedrà nel prossimo appuntamento della rubrica, fa proprio questo stile e lo rielabora in un look originale, il cosplay appare come uno strumento di evasione dalla una realtà quotidiana fatta di uniformi e regole sociali, che trova attuazione nell'appropriazione dell'estetica e dell'atteggiamento di un determinato musicista. È possibile inoltre azzardare che una delle motivazioni che spingono le ragazze a intraprendere l’attività di cosplayer risieda nel disagio provato nei confronti della propria sessualità e dei modelli di gender femminili convenzionalmente riconosciuti. Indossare i panni di un musicista di sesso maschile ma dall’estetica androgina, appare cioè come un’ideale fuga dal confronto con la propria sessualità, fuga che ha un effetto rassicurante. Inoltre, essendo quello del cosplay visual kei un ambiente prevalentemente femminile, queste adolescenti hanno la possibilità di evitare il contatto con l’altro sesso, che comporterebbe inevitabilmente una presa di coscienza della propria femminilità.
Il cosplay è anche uno strumento di socializzazione tramite cui confermare la propria appartenenza a un gruppo, e trovare così sicurezza e serenità. Adottando l’immagine di un artista visual kei, le ragazze del cosplay esprimono in maniera diretta e immediata i propri gusti e attitudini, facilitando così il processo di socializzazione e creazione di una cerchia di conoscenze. Il gruppo che ne nasce diventa una piccolissima comunità, quasi una famiglia, all’interno della quale il cosplayer può esprimersi liberamente. Tuttavia, si osserva una tendenza a conformarsi agli altri membri: se da una parte questo può essere spiegato come un comportamento dovuto alla paura di essere escluse dalla compagnia, poiché il cambiamento del soggetto del cosplay spesso comporta una rottura con il gruppo, dall’altra tradisce un tentativo di uniformità interna che rafforza il sentimento di identità collettiva, più forte rispetto a quella che una singola cosplayer potrebbe raggiungere tramite la sola personificazione di un musicista.
Anche se a prima vista il cosplay può sembrare semplicemente un passatempo, è in realtà un fenomeno piuttosto profondo, dalle mille sfaccettature. Che tipo di fandom sarà quello maschile? E cosa spinge i ragazzi ad avvicinarsi a questo fenomeno? Lo analizzeremo nel prossimo articolo, quindi continuate a seguirci!