Tsukamoto e Shimada a Ca' Foscari per parlare di Nobi

 

Giovedì 4 settembre nell'Aula Baratto di Palazzo Ca' Foscari a Venezia si è tenuto un dialogo tra il regista Tsukamoto Shin'ya e lo scrittore Shimada Masahiko. Tsukamoto Shin'ya, importantissimo esponente del cinema indipendente giapponese, ha concorso alla 71esima Mostra Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia con il suo ultimo film, Nobi (野火, eng: Fires on the Plain), tratto dall'omonimo romanzo del 1951 scritto da Ōoka Shōhei.

Shimada Masahiko, scrittore e intellettuale, è attualmente Visiting Professor all'Università Ca' Foscari di Venezia dalla Hōsei Daigaku di Tōkyō.

Vi proponiamo un sunto dell'incontro a completamento della recensione del film Nobi: Fires on the Plain.

I due ospiti, che si sono incontrati per la prima volta di persona a Venezia in occasione della Mostra del Cinema, hanno discusso dell'ultimo film, ma non solo, seguendo le acute osservazioni di Shimada.

La conversazione ha avuto principio dal romanzo di Ōoka Shōhei del 1951, che ha già avuto una prima versione cinematografica a opera del regista Ichikawa Kon nel 1959, e che secondo Shimada ricorda il cammino di Dante nell'Inferno. Il romanzo aveva suscitato molto scalpore in Giappone perché parlava anche di cannibalismo, ma secondo Shimada il vero tema era la discesa negli "inferi" della guerra così come era stata vissuta dal soldato Tamura.

Tsukamoto, che aveva letto il romanzo da ragazzo e ne era rimasto molto colpito, desiderava farne un film da almeno vent'anni, ma non gli interessava il cannibalismo, quanto rappresentare una persona ‘normale’ che vive l'orrore della guerra, e per contrasto mostrare la bellezza della natura delle Filippine, che funge da scenario alle miserabili vicende umane. In questo momento storico, in cui il Giappone sembra tendere nuovamente alla guerra, e in questa fase della vita personale di Tsukamoto, che è diventato padre e quindi guarda al futuro, un film che mostrasse la realtà orribile della guerra era diventato necessario.

Come ha osservato Shimada, i film e la letteratura sulla guerra in Giappone hanno sempre avuto una sfumatura vittimistica, e in questo senso i romanzi di Ōoka Shōhei sono stati una voce fuori dal coro. Allo stesso modo, Tsukamoto si differenzia dalla tendenza attuale a mostrare i caduti in guerra come degli eroi da mitizzare e commemorare. Inoltre nei romanzi di Ōoka è molto presente l'elemento descrittivo della natura, e il vagare dei soldati in mezzo ad essa, punto che è stato decisamente colto dal regista nel film.

Uno dei temi portanti delle opere di Tsukamoto, osserva ancora Shimada, è l'avvicinarsi il più possibile alla morte. In questo film in particolare, il protagonista, impersonato dallo stesso regista, si trova in una situazione estrema di orrore, paura e fame, che comporta un mutamento nel corpo. A cosa vuole arrivare Tsukamoto seguendo questa via del corpo?

Il regista ammette una tendenza masochistica nelle sue opere e la spiega chiaramente: è nato e vissuto a Tōkyō, in una realtà che nasconde la natura quanto la morte. In una situazione del genere il dolore inflitto al corpo serve a capire di essere vivi, e a rendersi conto di cosa sia la morte. Finché era giovane, il set della città gli era congeniale, ma con l'età ha rivolto lo sguardo verso l'esterno e la natura. Nel film è evidente come l'uomo viva in una realtà piccola rispetto alla grandezza della natura, e come le sue azioni, in primo luogo la guerra, siano stupide e sconsiderate.

Prima di mostrare un paio di clip del film, Shimada fa un'osservazione sulla recitazione di Tsukamoto, che molto spesso mostra un'espressione titubante sul viso, che sembra dire "cosa ci faccio io qui?", ma che per le sue opere in generale, e Nobi in particolare, è assolutamente calzante. Con lo sviluppo tecnologico gli esseri umani hanno perso l'istinto e hanno anche infantilizzato la loro mente: questo concetto centrale nella letteratura di Shimada trova d'accordo anche Tsukamoto. Lo scrittore, che considera i film del regista come una sorta di "riabilitazione", si chiede se la sua produzione sia legata al background culturale (che peraltro è comune ai due, visto che Tsukamoto è del 1960, Shimada del 1961). La loro generazione, denominata "generazione di Ultraman", è stata influenzata dagli anime di supereroi e nello stesso tempo ha potuto ascoltare direttamente i racconti della guerra dai reduci.

Tsukamoto risponde dicendo che effettivamente i supereroi dell'infanzia hanno influenzato la sua produzione, come anche la crescita post-bellica della città di Tōkyō. I grattacieli che venivano costruiti in quegli anni erano per lui e per i bambini dell'epoca come dei fratelli. Ora tuttavia sente anche il desiderio di distruggerli, perché gli spazi vuoti danno un senso di piacere e di respiro in una città dominata dalle altezze dei palazzi.

Shimada torna sugli eroi, osservando che quelli degli anime hanno sempre un punto debole. Ad esempio, Ultraman combatte solo per alcuni minuti e non di più. Gli eroi di Tsukamoto invece sono pieni di difetti, e il regista si concentra principalmente sui loro punti deboli. Tsukamoto dice che non è una sua intenzione: i protagonisti sono persone normali, che vivono una vita normale, finché non compare qualcuno di simile a loro che li trascina verso il basso fino all'unione in un'unica entità.

Shimada torna alle origini della cinematografia di Tsukamoto citando Tetsuo: il film ai tempi l'aveva colpito per la sua artigianalità e per il fatto che il regista aveva fatto tutto da solo. Ora la produzione è su grande scala, ma qual è lo "Tsukamoto style"? Il regista, dopo aver espresso la sua sorpresa nel sentire che Shimada ha visto il suo primo film, spiega come per lui ciò che all'inizio era una necessità non sia poi cambiato molto nel tempo. È allo stesso tempo regista, sceneggiatore, produttore, attore e addetto al montaggio, ma i ruoli per lui non sono poi così diversi. Ovviamente ha uno staff, che nel caso di Nobi è pure formato da persone molto giovani, e addetti ai lavori (ad esempio Ishikawa Chū, compositore delle musiche dei suoi film, n.d.r.), ma più che "regista" si sente uno "che fa film".

Shimada riporta l'attenzione sul montaggio meticoloso, caratteristica importante di tutti i film di Tsukamoto e che rimanda comunque all'artigianalità dell'opera. Un punto molto radicale secondo lo scrittore è il fatto che Tsukamoto non utilizzi stereotipi per narrare, ma che ripensi ogni azione e ripresa in modo che siano esse stesse a fare la storia. Tsukamoto ammette di non averla mai pensata in questo modo, ma trova questo spunto molto interessante. Il montaggio è una parte della sua tecnica che ha imparato a sfruttare al meglio quando ha lavorato in pubblicità.

Il pubblico in aula ha posto diverse domande, ecco alcune delle più interessanti.

A Tsukamoto è stato chiesto se il perenne paragone con il suo film Tetsuo è motivo di piacere o di noia. Il cineasta risponde che a lui il paragone fa molto piacere, poiché è il film che ha segnato la svolta nella sua produzione artistica, e ad esso è molto legato.

Qualcun altro chiede che tipo di importanza dà al rapporto che c'è tra immagine e scelta della musica e del suono nei suoi film. Il regista spiega che è importante perché alcune scene possono anche non essere un granché dal punto di vista visivo, ma se il suono è mediocre o poco curato, il risultato finale non colpisce lo spettatore come dovrebbe. Aggiunge inoltre che alcuni dei suoni sono volutamente sgradevoli, per comunicare allo spettatore un senso fisico di disagio e per permettergli di comprendere a fondo l'immagine.

A Shimada è stato chiesto che tipo di sceneggiatura scriverebbe per Tsukamoto. Lo scrittore, riprendendo la tematica della fame di Nobi, cita il racconto tradotto anche in italiano "Mi farò mummia" (Shimada Masahiko, Mi farò mummia, Marsilio 1995), ovvero il diario di un uomo che si suicida smettendo di mangiare.

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