NipPop incontra Laura Testaverde: L’isola dei senza memoria


In vista del terzo appuntamento della seconda edizione del NipPop Book Club, previsto il 13 gennaio 2021, abbiamo avuto il piacere di intervistare Laura Testaverde, traduttrice del romanzo di cui parleremo, L’isola dei senza memoria di Ogawa Yōko.

Laura Testaverde è una raffinata conoscitrice della cultura e della letteratura nipponica, ed è oggi una delle figure di spicco nel panorama della traduzione letteraria dal giapponese. Numerosi sono gli autori i cui lavori sono disponibili sugli scaffali delle librerie italiane grazie a lei: fra i più noti e rilevanti – oltre a Ogawa Yōko – meritano una menzione Mishima Yukio, Hirano Keiichirō, Natsume Sōseki, Nosaka Akiyuki, Yamada Eimi, Akutagawa Ryūnosuke e Durian Sukegawa.

NipPop: L’isola dei senza memoria è un’opera che trasmette tensione e ansia. Quali sono state le tue sensazioni mentre traducevi questo romanzo? E quali le maggiori difficoltà?

Laura Testaverde: Mi pare che tra le caratteristiche notevoli della scrittura di Ogawa Yōko vi sia la capacità di creare atmosfere surreali e oniriche senza mai allontanarsi troppo dalla realtà, provocando così nel lettore un bizzarro effetto di immedesimazione anche quando lo trascina piano, senza clamore, in veri e propri incubi. Traducendo avevo una sensazione di calma, come se stessi affrontando un destino ineluttabile. Mi sentivo invece soffocare e provavo l’istinto di scappare quando “entravo” nel romanzo che la protagonista sta scrivendo. È come se in quel racconto, che l’io narrante fatica a concludere, si concentrasse il senso d’angoscia e l’impulso alla ribellione che tutti gli abitanti dell’isola, compresa la protagonista, non trovano la forza non dico di esprimere, ma nemmeno di provare. Questo gioco di specchi tra la narrazione principale e quella secondaria mi ha ricordato i racconti della stessa autrice contenuti in Vendetta: legati tra loro da un particolare, ma completamente diversi l’uno dall’altro nell’impianto, nel tema e nell’atmosfera, sembrano però dare tutti voce alla stessa angoscia, e rappresentare il modo in cui questa permea una quotidianità apparentemente serena o quantomeno tranquilla. Per quel che riguarda le difficoltà, sebbene trovi lo stile di Ogawa Yōko particolarmente congeniale, in generale penso che non esista un autore o un testo facile da tradurre, perché ogni volta si è posti di fronte a scelte che possono essere difficili. In questo romanzo, ad esempio, compare spesso la parola “cuore”, in giapponese kokoro, che è anche il titolo di una famosa opera di Natsume Sōseki, ora reso come Il cuore delle cose, mentre una vecchia edizione era intitolata Anima. Kokoro può indicare anche la “mente” o l’“intelletto”, e inizialmente mi sono chiesta se i ricordi sparissero dal cuore o dalla mente. Poi mi è parso evidente che non è tanto l’oggetto in sé a scomparire, quanto il suo significato, il suo valore, il legame affettivo con quell’oggetto: è perciò dal “cuore” che sparisce il ricordo. Tant’è vero che il nonno vive nel traghetto che non dovrebbe più esistere, quando la protagonista vede un cappello, dopo un po’ ne ricorda l’uso, gli uccelli continuano a volare nel cielo nonostante la loro scomparsa, e la polizia segreta elimina solo i documenti del padre ornitologo. Ciò che “scompare” non suscita più sensazioni, se non una specie di irritazione, di fastidio, come se ci si sforzasse inutilmente di provare emozioni legate a una vita che non esiste più. Anche se, all’inizio, non capivo bene cosa intendesse la scrittrice parlando di “scomparsa” di cose che esistevano ancora, ho trovato illuminante l’esempio del francobollo, proprio perché ormai non ho più molte occasioni di usarne, e non ho che un vago ricordo delle emozioni che provavo quando spedivo lettere, ne ricevevo o ne attendevo l’arrivo.

NipPop: Lei ha tradotto anche altre due opere di Ogawa Yōko: la raccolta di racconti Vendetta e il romanzo Nuotare con un elefante tenendo in braccio un gatto. Che differenze ha riscontrato nella traduzione di questi lavori? Quali sono invece le caratteristiche ricorrenti nella scrittura di questa autrice?

L.T.: In generale, credo che la traduzione del racconto sia semplificata dalla brevità, nel senso che è meno complicato tenere le fila di un discorso breve, ma è vero che un romanzo lungo dà modo di conoscere meglio i personaggi e le ambientazioni, permettendo anche al traduttore di farsene un’idea più precisa. Caratteristiche comuni ai romanzi e ai racconti di Ogawa Yōko che ho tradotto, sono la narrazione quieta, tanto da sembrare distaccata, e lo stile lineare, asciutto dell’espressione. Però, i racconti di cui è composto Vendetta, pur essendo legati da un fil rouge, sono così diversi l’uno dall’altro, che leggerli – e tradurli – di seguito è un’esperienza forte, come un viaggio rapido (per la loro brevità) e burrascoso (per gli stimoli forti che danno) tra mondi diversi. Nel caso dei due romanzi (L’isola dei senza memoria e Nuotare con un elefante tenendo in braccio un gatto) è più forte l’impressione di una tesa calma apparente, pronta e spezzarsi a ogni istante. È un po’ la sensazione di nuotare a largo, dove non si tocca, galleggiando a molti metri da un fondale sconosciuto che potrebbe nascondere insidie. In generale, comunque, mi pare che la scrittrice ami lasciare il lettore sospeso in una specie di fragile comfort zone, per colpirlo poi in modo inatteso, rendendo così il colpo più efficace. Durante un tè letterario su L’isola dei senza memoria1 cui ho partecipato di recente online, ad esempio, mi hanno fatto notare come la scrittrice sottolinei, a un certo punto, che la polizia entra in casa senza nemmeno togliersi gli stivali. Molti hanno trovato questo particolare superfluo, o addirittura disturbante, e io stessa non avevo potuto fare a meno di notarlo durante la traduzione. Riflettendoci, è probabile che fino a quel punto il lettore abbia vagamente pensato di trovarsi in un luogo immaginario, lontano dal nostro mondo, un luogo che ricorda un terribile passato vissuto in Europa, il che lo rende ancora più estraneo, probabilmente, per un lettore giapponese. D’improvviso, invece, si parla di levarsi le scarpe: il lettore giapponese ricorda bruscamente di non avere tra le mani un romanzo straniero o che tratta di un mondo del tutto immaginario, e anche il lettore non giapponese si rende conto che Ogawa parla di una realtà a lei vicina.

NipPop: Il ricordo è uno dei temi più cari all’autrice nonché quello che sta alla base di questo romanzo. Come pensa sia stato affrontato ne L’isola dei senza memoria rispetto alle altre opere?

L.T.: Forse la particolarità di questo romanzo, rispetto ad esempio a La formula del professore, è che parla della memoria collettiva, la memoria di un’intera popolazione. Il che ha contribuito a suggerire un’ispirazione politica, idea corroborata dagli evidenti richiami all’olocausto. Per di più, Ogawa ha raccontato in diverse occasioni della forte impressione suscitata in lei dalla lettura del Diario di Anne Frank. Il debito nei confronti del Diario è, in effetti, evidente e dichiarato ma, a posteriori, L’isola dei senza memoria risulta opera d’impianto e ispirazione totalmente indipendenti. La scrittrice ha affermato che non è, nelle sue intenzioni, un romanzo politico. In effetti è evidentemente passibile di molte altre letture. Si può intendere come un richiamo all’importanza della memoria collettiva, appunto, e al valore dell’arte, e della letteratura in particolare, quali strumenti per ricordare a noi stessi chi siamo. Durante il tè letterario cui ho già accennato, uno dei partecipanti ha invece suggerito che potrebbe rappresentare il processo della crescita individuale, e di un adeguamento – o mancato adeguamento – alla società. Altri l’hanno visto come una storia d’amore. È vero che la protagonista instaura con R un rapporto che diventa centrale nella storia principale, e una relazione sentimentale è anche il soggetto del romanzo che sta scrivendo. Per lei R è colui che cerca d’impedirle di perdere se stessa uniformandosi alla società e nel suo atteggiamento rivede quello della propria madre, riconoscendolo, forse, come una forma diversa di quello stesso amore con cui lei aveva cercato di strapparla alla palude dell’oblio cui quasi tutti sono condannati. Così tenta a sua volta di proteggerlo dalla società, isolandolo. Il rapporto rappresentato nel romanzo che la protagonista sta scrivendo, poi, appare quasi speculare a quello della storia principale: lui rinchiude lei, non per proteggerla dall’annientamento ma, al contrario, per annientarla. I punti di contatto tra le due vicende restano l’importanza dell’espressione per la conservazione del ricordo, e il concetto di memoria come fondamento dell’essere. Però non può sfuggire come il romanzo riproponga nelle due storie principali, e in altri brevi racconti inglobati nella trama, il tema della reclusione, dell’isolamento. È un’opera che dà molti spunti di riflessione.

NipPop: In italiano il libro è uscito con il titolo L’isola dei senza memoria ma in giapponese è Hisoyakana kesshō (La silenziosa cristallizzazione). Quali sono le ragioni dietro a questa scelta?

L.T.: All’inizio avevo proposto “Cristalli segreti” perché kesshō è riferito all’oggetto più che al processo, e hisoyakana indica qualcosa che si fa in segreto, in modo che gli altri non se ne accorgano, di nascosto, e mi pareva potesse riferirsi a diversi temi e situazioni del romanzo. Poi avevo suggerito anche “Segrete cristallizzazioni”, perché “cristallo” mi faceva pensare a qualcosa di limpido e trasparente, e mi pareva più indicato dare l’idea di un coagulo, un’incrostazione, e alludere così non solo a degli oggetti ma anche al processo descritto in modi diversi sia nel romanzo che nel racconto (il romanzo scritto dalla protagonista). La casa editrice ha optato, poi, per il titolo attuale. In linea di massima, se non ho motivi particolari, non mi oppongo quando mi propongono un titolo diverso da quello che avevo in mente, perché immagino che, nello sceglierlo, la casa editrice applichi una serie di criteri derivati dall’esperienza nel campo e sia supportata da una visione più ampia del panorama editoriale. Nel caso specifico, poi, L’isola dei senza memoria mi sembrava un titolo valido. Mi sono pentita, invece, di non essermi battuta di più per Vendetta. Avevo proposto una traduzione praticamente letterale di Kamokuna shigai midarana tomurai: “Corpi taciturni, osceni lutti”. Rispettava anche il ritmo dell’originale e mi pareva incisivo, forte e musicale: a mio parere, avrebbe colpito e incuriosito i lettori. Invece fu giudicato, al contrario, “respingente”, e mi è dispiaciuto.

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1. https://thewaysoftranslation.com/2020/12/08/ottavo-incontro-del-te-letterario-lisola-dei-senza-memoria/

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