Murakami Ryū e il valore metaforico del cibo


Identità in bilico, perse, smarrite sullo sfondo di una Tokyo che non dorme mai. Corpi apparentemente fatti di carne, di sangue dal colore “nero, non rosso, proprio come la salsa di soia in cui si intinge il sashimi”, autentiche imitazioni di esseri umani. Queste sono le figure protagoniste di Tokyo Soup, pubblicato nel 1997 ed edito in Italia nel 2006, un romanzo pulp, malato, brutale.

Murakami ci racconta una storia violenta ambientata in una Tokyo di fine dicembre, ipnotica e decadente tra pachinko, hotel a ore, luci al neon e locali scadenti, che riflette la crisi di una società in preda all’euforia consumistica della bubble economy degli anni Ottanta, dominata dal gusto del piacere, del consumo sfrenato, del possesso e del desiderio; di una generazione di scrittori giovani che si rivolgono alla propria generazione, scollata, disorientata, senza speranza. È in questo contesto che si inserisce l’opera letteraria di Murakami Ryū, trasgressiva, irriverente, espressione del sogno di libertà e di ribellione della cultura giovanile metropolitana.

Cibo e corpo
Tanto, tanto tempo fa, quando gli uomini si uccidevano e si mangiavano a vicenda….
Gli ingredienti che contraddistinguono il sapore nauseante e stomachevole suggerito dalla scrittura di Murakami Ryū in Tokyo Soup è intrinsecamente connesso alla dimensione corporale e carnale, alla fisicità disturbante di corpi putrescenti e martoriati, al gusto del sangue “né amaro, né dolce” che diventa fonte di nutrimento e di vita. Nella narrazione, prevale il punto di vista delle due figure maschili protagoniste, Kenji e Frank, simboli di due paesi a confronto, il Giappone e l’America. Kenji è un giovane giapponese che per vivere accompagna turisti occidentali in squallidi sex-tour attraverso la frenetica vita notturna di Tokyo. Frank è un americano decisamente strano e inquietante, arrivato a Tokyo apparentemente per sbizzarrirsi nei quartieri a luci rosse.
Murakami ci proietta in un viaggio nella vita notturna di una metropoli feroce, gremita di individui soli, lasciandoci scoprire poco a poco le numerose sfaccettature della mente malata di un assassino folle che sente la necessità di bere il sangue, umano o animale che sia, per sentirsi vivo. Così, accanto a liceali travolte dalla solitudine che si svendono in peep show e lingerie pub, a donne anonime inghiottite dal mercato crudele del sesso a pagamento e dal consumismo frenetico, troviamo uomini dall’identità smarrita, non più esseri umani, ma cannibali.

L’ingrediente pulp
Ascoltandolo parlare senza sosta avevo tenuto d’occhio la pasta che scuriva, osservandola trasformarsi in una sostanza non identificabile, flaccida come uno spago. Disse che non gli interessava mangiare e dormiva poco e che invece uccidere gli era necessario per vivere.
Nella mente folle di Frank, il bisogno di uccidere per vivere prende il posto della necessità di mangiare degli esseri umani “comuni”. E allora ecco che la strage dell’omiai pub, il momento di climax della narrazione, si costella di una moltitudine di riferimenti alla dimensione nutritiva: il sangue viene paragonato alla salsa di soia; il corpo tagliuzzato di una delle donne lì presenti al sashimi; la lama con cui Frank le taglia la gola a un coltello da sashimi; l’orecchio tagliato e caduto per terra a una fetta di polpettone di pesce; il vomito di disgusto di Kenji a “uno spruzzo color cappuccino” e a una “materia acida e appiccicosa”.

Sashimi e salsa di soia

Tradizione e modernità
La componente metaforica legata al cibo giapponese che emerge nel romanzo è tanto forte quanto la ferma volontà dello scrittore di denunciare la solitudine e l’appiattimento in cui è sprofondata la società in cui vive, da sempre legata fanaticamente alle proprie tradizioni e restìa al cambiamento. Così, alcuni piatti tipici legati alla tradizione culinaria nipponica si caricano di profondi significati simbolici, destabilizzando il lettore, e catapultandolo in un mondo di violenza e perversione: udon, ramen, soba, miso, sashimi… diventano tutti rappresentazioni metaforiche della condizione dell’essere umano nella folle società contemporanea.
Anche lo scontro tra la solida tradizione giapponese e la diversità della società contemporanea occidentale è rappresentato dal tentativo maldestro di Frank di mangiare soba l’ultimo giorno dell’anno come auspicio di lunga vita, in un soba shop in compagnia del giovane giapponese.
Impugnando le bacchette come coltelli lui cercava di ficcarseli in bocca. All’ inizio, quand’ erano ancora scivolosi, gli spaghetti sfuggivano non appena lui tentava di sollevarli, ma via via che diventavano morbidi e gonfi rimanevano attaccati alle bacchette rendendo il procedimento più semplice, ma meno invitante.

Soba

Into the miso soup
Infine, la correlazione metaforica tra il Giappone e la zuppa di miso, una zuppa tradizionale di uso quotidiano. L’uomo contemporaneo, in quanto individuo vuoto, instabile, privo di certezze a cui aggrapparsi è proprio come le verdure tagliate a fettine della zuppa di miso, “una zuppa assurda, con un odore assurdo […] dall’ incredibile colore scuro e un odore come di sudore”; è disperso in quel brodo e cerca disperatamente di restare a galla. Nelle ultime pagine del romanzo emblematica è la dichiarazione di Frank in proposito:
La zuppa che ho ordinato in Colorado aveva queste verdure a fettine e altre cosette galleggianti che all’ epoca mi erano sembrati piccoli avanzi. Ma adesso mi trovo dentro la zuppa di miso, proprio come quei pezzettini di verdura. Galleggio in questa ciotola gigantesca e sono soddisfatto.

Zuppa di miso

Sebbene la comprensione totale e reciproca tra le due culture resti irrealizzabile, perlomeno è possibile una forma di dialogo.

Cibo, musica, cinema: 69 Sixty-Nine
Di un sapore completamente diverso, fresco, solare e nostalgico è 69 Sixty-Nine, romanzo del 1987, edito in Italia da maggio 2019 nella traduzione di Gianluca Coci. In un’atmosfera coinvolgente, sulle note della musica rock di fine anni Sessanta, Ken, Lady Jane e un gruppo di amici organizzano un festival musicale, un’ondata di colore e di vita nella grigia cittadina di Sasebo. A differenza delle altre opere dell’autore cariche di violenza pulp e distruzione, 69 Sixty-Nine si presenta come un autentico manifesto generazionale in nome della libertà, della passione e della ribellione giovanile.

Sollievo
In un contesto di luce, sole e colore, si insinua l’elemento tematico del gusto e della sensazione di sollievo apportato dal cibo nella movimentata quotidianità dei giovani protagonisti, come un delicato strumento narrativo per esprimere sentimenti ed emozioni legati alla cultura giovanile.
Ecco allora l’importanza del bentō, “il sacco del pranzo”, per i giovani impegnati nelle riprese del loro film autoprodotto:
Verso ora di pranzo ci sedemmo in riva al ruscello e consumammo il pasto che Lady Jane aveva preparato con tanto amore. C’erano onigiri, omelette, pollo fritto, cavolfiore, tsukemono e persino delle belle pere come frutta. Mentre gli uccelli svolazzavano e cinguettavano tra gli alberi, Iwase suonava la chitarra e cantavamo April Come She Will di Simon & Garfunkel.

Karaage

Un bentō in stile giapponese quindi, che include onigiri, pollo fritto (karaage in giapponese), tsukemono, o uno in stile occidentale:
[…] Prese dal cestino alcuni tramezzini avvolti nella carta stagnola: formaggio, prosciutto cotto, uova e insalata. Poi mi porse tanto di oshibori. C’era anche del pollo fritto, preparato con molta cura e sistemato pezzo per pezzo in pirottini d’alluminio, così da poterlo mangiare con maggiore facilità.
Murakami è parte effettiva di quella schiera di scrittori nati durante il boom economico degli anni Sessanta che hanno assistito alla forte contaminazione socio-culturale con l’occidente. E ne è anche un appassionato promotore e sostenitore: l’assimilazione della cucina straniera, così come della musica, del cinema, dell’arte occidentale diventa il leitmotiv della narrazione di 69 Sixty-Nine, un romanzo fatto di echi nostalgici, passione, vita.

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