Before We Vanish: la fine del mondo - ultimo atto, regia di Kiyoshi Kurosawa


Pianeta Terra, Giappone. L’invasione aliena è imminente, l’umanità ignara. Il regista Kiyoshi Kurosawa racconta degli ultimi giorni del genere umano attraverso quell’oscura e inquietante delicatezza che caratterizza i lavori del maestro del J-Horror.

Before We Vanish (Sanpo sure shinryakusha 散歩する侵略者) è una pellicola del 2017 che vede inaugurarsi l’universo narrativo dell’apocalisse aliena ideato da Kurosawa, ampliatosi poi nel film parallelo Yocho, presentato nel 2018 al FEFF20 di Udine.

Shinji (Ryūhei Matsuda), marito infedele e insensibile, inizia a perdere la memoria a causa di un sospetto principio di Alzheimer, mentre un visitatore extraterrestre si insuffla nel suo corpo come un virus e ne prende il controllo pur non intaccandone le sembianze. Contemporaneamente Amano (Mahiro Takasugi), ragazzo minuto e curioso, abbandona inspiegabilmente la sua famiglia per mettersi alla ricerca di Akira (Yuri Tsunematsu), ragazza all’apparenza fragile e pacata, che compie una strage nel tentativo di spianarsi la strada. Anche loro sono alieni, in cerca di una guida prima della programmata invasione.

Sono esemplari inviati sul nostro pianeta al solo scopo di raccogliere il numero maggiore possibile di informazioni sugli usi e costumi terrestri, utili per la creazione di un database che raccolga e custodisca i dati di una civiltà scomparsa. Perciò si spiega il disperato bisogno di un mentore, di una persona fidata grazie alla quale velocizzare il processo di apprendimento. L’estrazione di un concetto dalla mente di un essere umano è piuttosto semplice e poco scenografico, è sufficiente toccare la fronte del soggetto con un dito, ma non è del tutto indolore e può innescare un profondo cambiamento della personalità.

Amano sceglie Sakurai (Hiroki Hasegawa), reporter di un settimanale, come sua guida, mentre Shinji riconosce nella sua consorte, Narumi (Masami Nagasawa), un animo affine, molto più di quanto la sua controparte umana abbia mai intuito. Anche Narumi, inizialmente scontrosa, si riavvicina al marito, o meglio alla sua nuova versione, e se ne innamora, nonostante questi le riveli la sua vera natura. Sì, perché gli alieni di Kurosawa non si nascondono, si manifestano sin da subito nella loro essenza senza paura, coscienti del proprio ruolo e del proprio destino, pur facendo i conti con i limiti fisici dei nuovi e provvisori involucri umani. Sono storie parallele che scorrono lentamente per incontrarsi solo più avanti, dinanzi al bivio narrativo del capovolgimento finale. Shinji è più umano dei suoi compagni, rifiuta la missione e fugge con Narumi dopo che quest’ultima uccide accidentalmente Akira, intenzionato a starle accanto fino alla loro inevitabile scomparsa.

L’incredibile notizia di un’invasione aliena, pur non allarmando la popolazione se non negli ultimi atti, calamita l’attenzione di organizzazioni governative che, pedinando l’ingenuo reporter Sakurai, tentano di sventare l’invasione uccidendo Amano e impedendogli di trasmettere il segnale d’attacco. Ma è lo stesso Sakurai che, dopo essere stato ignorato e deriso da alcuni passanti per averli avvertiti dell’imminente invasione, decide di aiutare gli extraterrestri, e sarà proprio lui a dare avvio all’apocalisse dopo una serie di tragici eventi: un uomo che condanna l’umanità.

Ma la morale è che c’è sempre qualcosa da imparare, l’invasione inizia come una pioggia di luce e s’interrompe, vi sono ancora troppe informazioni da decifrare e apprendere dagli abitanti del piccolo pianeta Terra: l’empatia, la sofferenza, l’affetto. Il sentimento fra Narumi e Shinji salva il mondo dal collasso, la minaccia è scongiurata, ma i danni sono ingenti. Come un’epidemia, gli effetti dell’arrivo degli extraterrestri hanno fatto ammalare la popolazione, compresa Narumi che, donando a Shinji poco prima dell’apocalisse il bene più prezioso, cioè l’idea di amore, non sarà più la stessa.

In questo film, Kurosawa decide di limitare l’elemento splatter alle scene iniziali che coinvolgono maggiormente il personaggio di Akira, ma in fondo una scolaretta letale e cruenta è un elemento tipico dell’immaginario cinematografico giapponese del genere.

Limitato è inoltre, proprio come in Yocho, l’utilizzo di effetti speciali nonostante si tratti di un film di fantascienza. L’essere umano è estraneo a sé stesso e, non riuscendo a contemplarsi realmente poiché distratto dagli assordanti rumori della società, non può distinguere la minaccia che serpeggia tra la popolazione mimetizzandosi perfettamente. Il dramma messo in scena dal regista è umano, se si potesse censurare la parola “alieno”, pronunciata più volte dai protagonisti nell’atto di presentarsi, per sostituirla con quella di “alienazione”, il film non perderebbe assolutamente di significato. Sono i disvalori della società contemporanea la vera minaccia, e l’ossessività, la solitudine, il bipolarismo le sue conseguenze. Per poter cambiare il mondo, per poter cambiare noi stessi, è sufficiente chiedersi chi siamo, soffermarsi su quei concetti che consideriamo scontati ma che in realtà non sappiamo definire.

 

 

 
 
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