Horror coreano proiettato in prima europea nello Psycho Horror Day alla 18° edizione del Far East Film Festival, The silenced è ambientato nel 1938, durante la colonizzazione giapponese della Corea.
Location dell’intera storia è un collegio femminile isolato tra le montagne e gestito da una sensuale preside (Uhm Ji-won) intenzionata a portare avanti un programma educativo promosso dall’esercito giapponese. Al termine di questo percorso formativo, due delle studentesse del collegio riceveranno una borsa di studio per andare a studiare a Tokyo. Protagonista della storia è la graziosa adolescente Ju-Ran (Park Bo-young), che si presenta all’istituto con il nome di Shizuko, secondo quella che sembra la prassi di assegnare nomi giapponesi alle studentesse. Shizuko soffre di tubercolosi e, già afflitta dai sintomi della malattia, subisce anche l’ostilità della meschina compagna di scuola Yuka (Kong Ye-Ji). Presto la ragazza viene a conoscenza di un’inquietante vicenda: una sua omonima aveva frequentato la stessa scuola ed era scomparsa improvvisamente, dopo aver mostrato insoliti sintomi come la mancata percezione del dolore. Shizuko, aiutata da Kazue (Park So-dam) con cui ha stretto amicizia, indaga sull’accaduto, in seguito all’inspiegabile sparizione di altre compagne del collegio. Nel dipanarsi della storia, si scoprono i segreti celati dietro al programma educativo a cui sono sottoposte le studentesse, con i suoi straordinari e terribili effetti.
Il regista Lee Hae-youn (autore delle commedie Like a virgin e Foxy Festival), al suo terzo lungometraggio dichiara di aver voluto sfidare, con quest’opera, i tradizionali canoni dell’horror in un paese in cui questo genere sembra ormai fortemente codificato. Con il desiderio di rompere gli schemi che hanno cristallizzato il cinema horror coreano per lungo tempo, Lee afferma infatti di aver optato per la creazione di un prodotto personale e diverso, che contemplasse al suo interno la mistura di più elementi. Il film inizia come un mistery d’epoca con venature orrorifiche, ma la narrazione prende poi direzioni che ne rendono effettivamente difficile la ascrizione a un genere specifico.
Tuttavia, nonostante l’opera vanti un’accurata fotografia, un ottimo cast al femminile e un’alta attenzione ai costumi e ai dettagli scenografici, la sostanza della trama sembra non essere all’altezza della confezione e delle premesse autoriali. Le protagoniste si muovono quasi passivamente in un quadro esteticamente curato ma privo di anima. Il contesto storico, sebbene restituisca un’immagine negativa dell’occupazione giapponese in Corea e delle sue rigide imposizioni, è superficialmente sviluppato. Se l’interesse dello spettatore viene stimolato nella parte iniziale del film, le aspettative vengono presto deluse e la tensione cala nel corso di una storia che non spaventa e difficilmente si discosta dal déjà-vu, approdando nell’epilogo a discrete derive grottesche.