Flying colors (Biri gyaru ビリギャル) è l’ottimista opera di Doi Nobuhiro, tratta dal bestseller di Tsubota Nobutaka che racconta la reale esperienza dell’autore del libro come docente di una scuola privata, alle prese con giovani non propriamente portati per lo studio.
Sayaka (Arimura Kasumi) fin da piccola sognava di avere delle amiche con cui trascorrere il tempo e guardava con malinconica amarezza i gruppi di coetanei dai quali lei era esclusa. Un giorno la madre premurosa (Yoshida Yo), per cercare di esaudire i desideri della ragazzina, decide di iscriverla a una rinomata scuola media, facendo sì che la vita di Sayaka cambi drasticamente. Assoldata da una ristretta cerchia di vanitose compagne di classe, la ragazza viene travolta dalla novità di essere finalmente considerata e di appartenere a un gruppo.
Avviene così la prima metamorfosi: tralasciando del tutto lo studio, Sayaka, con la sua nuova acconciatura biondo platino, cresce abbandonandosi insieme alle amiche a una quotidianità fatta di trucchi, minigonne, karaoke, purikura (foto in miniatura) e frivolezza (tipico stile di vita omologato della gyaru, “ragazza”, che ritroviamo nel titolo giapponese del film). In seguito a numerosi richiami a scuola, la madre, affranta, vuole intervenire ancora e finisce per iscrivere la ragazza a una scuola privata per la preparazione agli esami di ingresso all’università. Sayako è poco interessata ad apprendere, tuttavia l’incontro con il responsabile Tsubota (Ito Atsushi) si rivela determinante per la seconda metamorfosi della ragazza.
Tsubota ha la capacità di incantare la gioventù persa e demotivata con discorsi stimolanti sulla possibilità di recupero e di rivalsa: per ottenere l’effetto sperato, modula il proprio linguaggio in base all’interlocutore, per attirarlo e convincerlo dei benefici dello studio. L’insegnante trascorre le proprie notti a studiare le passioni dei ragazzi che segue (manga, videogiochi, anime, mode del momento, e così via) e utilizza le conoscenze acquisite per destare il loro interesse. Missione impossibile: far sì che Sayaka, con un livello di preparazione corrispondente alla quarta elementare, attraverso una intensa full immersion passi l’esame di ammissione alla prestigiosa Università Keio di Tokyo. Arriva così il momento per la ragazza di tralasciare il divertimento e la cura dell’aspetto esteriore per colmare le abissali lacune in tutte le discipline scolastiche e nelle basilari nozioni di cultura generale, nel giro di un anno. Sayaka viene così trascinata fuori dal microcosmo di svaghi in cui era immersa e gradualmente sembra prenderci gusto, soprattutto quando inizia a vedere i primi risultati. Tsubota, semplice insegnante di una scuola privata, non viene preso sul serio e la realizzazione del piano che ha predisposto per la ragazza rasenta agli occhi di tutti l’impossibilità.
Lo sviluppo della storia, che si configura come un racconto di formazione, ha un fluire prevedibile: lo spettatore sa dall’inizio come andrà a finire, eppure rimane coinvolto fino al miracoloso epilogo. Quella di Sayaka e dell’insegnante Tsubota, nonostante appaia come difficile da credere, è comunque una storia vera. Il sistema scolastico giapponese è ritratto in tutta la sua rigidità e nelle sue contraddizioni, così come ben delineata è l’influenza non sempre positiva che l’aspettativa dei genitori sortisce sul successo dei figli, nella costante pressione sociale. Sayaka era considerata una perdente in una realtà che ormai l’aveva lasciata indietro, ritenendola solo un rifiuto, uno sciocco involucro. L’intento didascalico del film, sebbene non abbia esattamente un sapore di novità, risiede proprio nella possibilità di capovolgere, con la forza di volontà e la tenacia, una situazione che sembra ormai irreversibile.