#NipPop @FEFF: Intervista a Giampiero Raganelli

NipPop sempre da Udine, dal Far East Film Festival 2014, con Giampiero Raganelli. Giornalista, critico cinematografico, Giampiero è ben noto a tutto il pubblico degli appassionati. Lo ringraziamo per aver concesso quest’intervista a NipPop, e cominciamo con la domanda di rito: qual è la tua impressione sulla selezione dei film giapponesi a questa sedicesime edizione del Far East?

Beh, l’impressione è molto buona, in generale, su quest’edizione del Far East. Per i film giapponesi abbiamo un livello alto, ho visto. E soprattutto il film che mi è piaciuto più di tutto il festival è proprio un film giapponese, Tamako in Moratorium, una pellicola in effetti anomala per questo festival, perché è più un film d’autore, mentre il Far East segue il cinema popolare asiatico. In realtà secondo me è stato selezionato perché il regista è un regista di culto qui a Udine: ricordiamo infatti che Yamashita Nobuhiro ha diretto Linda Linda Linda, è un regista che ha fatto un percorso partendo da film spensierati come quello, che qui fece un grandissimo successo nel 2006, per poi approdare al cinema autoriale. Questo è il tipico film post-Fukushima, post-“quello che è successo tre anni fa in Giappone”, un film che parla di Tamako, una ragazza apatica direi, che non è, tecnicamente, una hikikomori ma poco manca. Esce di casa, però comunque ha una sua vita chiusa dal resto del mondo. In qualche modo interiorizza la tragedia del Giappone, o comunque tutto quello che il Giappone sta vivendo in questi anni. C’è una battuta che viene ripetuta molto spesso in questo film: “Il Giappone non ha speranza”, “Non c’è speranza per il Giappone”. Si tratta di un film anche abbastanza… pesante, che sicuramente riflette l’ultima tendenza del cinema giapponese. Ripeto, non è un film ‘popolare’, non è un film di genere, commerciale, però qui l’abbiamo visto e meno male! Insomma, un film da vedere, un film importante.

Hai già risposto alla seconda domanda che volevamo farti, che era proprio parlarci del film secondo te più interessante. Però tu hai parlato del post-Fukushima: credi che Fukushima rappresenti un discrimine, una frattura anche nella cinematografia giapponese?

Assolutamente sì, perché dopo Fukushima c’è stata una serie di film – adesso non riuscirei neanche a citarli tutti – che hanno riflettuto su quella tragedia. Il regista Sono Sion, per esempio, che è un grandissimo, straordinario regista, subito ha fatto il film che è stato presentato a Venezia, inserendo delle scene del disastro non di Fukushima, ma comunque del disastro; poi ha realizzato The Land of Hope, che appunto tratta questo tema, anche se traslandolo in un’altra situazione ipotetica. E poi di film ce ne sono davvero tanti, tantissimi. The Tragedy of Japan per esempio, e tantissimi altri.

Ne sono usciti molti. Io conosco, naturalmente, più l’ambito della letteratura, e anche in letteratura si parla di un post-Fukushima. Poi, come ci diceva Pio D’Emilio stamattina, in realtà si fa fatica a parlare di un post-Fukushima, nel senso che la tragedia in realtà non è finita. Ed è proprio questa la sensazione: una tragedia che ancora non cessa di ripetersi e di manifestarsi in tutta la sua gravità, quindi qualcosa che si propaga, tendenzialmente, all’infinito.
Secondo te, quale quadro emerge della cinematografia giapponese attraverso i film che sono presentati qui?

Allora, non c’è un quadro univoco, perché qui chiaramente abbiamo visto cose molto diverse… Di Tamako in Moratorium ho già detto, un altro film interessante è stato The Eternal Zero. Tra l’altro, c’è una cosa che mi ha colpito, non so se sia una coincidenza o qualcosa di voluto dal regista Yamazaki Takashi: non so se avete presente l’ultimo film di Miyazaki che tratta di un progettista di aeroplani, Kaze Tachinu, che si ispirava a Caproni, il progettista italiano, che aveva appunto progettato il modello Zero. Ed è proprio questo aereo che dà il titolo al film. L’aereo Zero era ormai molto potente, per un po’ di tempo durante la seconda guerra mondiale è stato l’aereo più efficiente; poi chiaramente in guerra tutto diventa obsoleto in pochissimo tempo, ed è per questo che veniva usato per i kamikaze. Perché era ormai poco efficace. The Eternal Zero è un film sui kamikaze, realizzato oggi, quindi a distanza di decenni e decenni, con, devo dire, una freddezza, una distanza obiettiva nel raccontare le cose. L’ho trovato anche un film che dà spazio a diversi punti di vista: c’è per esempio il personaggio che vuole diventare kamikaze , che poi è un personaggio che viene rievocato dal pronipote sostanzialmente, e fra gli ufficiali giapponesi c’è qualcuno che dice: “Ma questa è una follia, è una perdita inutile.” Come dire che significa buttare via la propria vita inutilmente... c’è tutta una serie di riflessioni in merito. Al di là di tutto Yamazaki è il regista che ha diretto i due Always, che pure si erano visti ad Udine, e che trattavano entrambi il tema del Giappone post-bellico, erano entrambi film che sottolineavano la difficoltà, la povertà, ma con una luce di speranza. Nel caso del primo Always, il film terminava con la costruzione della torre di Tokyo, anzi con la fine della costruzione: si vedeva durante il film, sullo sfondo, la torre che si alzava fino a concludersi, e il completamento della torre di Tokyo era il simbolo del rilancio del Giappone, della società giapponese, dell’economia giapponese, quindi si ergeva come un messaggio di speranza.

E’ un regista che tra l’altro si è sempre avvicinato a Miyazaki, al mondo dello studio Ghibli, tant’è che un po’ la sua dimensione ricorda molto Una tomba per le lucciole. La penuria, la povertà, il clima d’indigenza... racconta del Giappone post-bellico. Quindi qui abbiamo qualcosa di interessante, un film storico, che ritorna su vecchie questioni, anche problematiche, del Giappone. Tra l’altro si fa anche una battuta, nella parte contemporanea del film, in un confronto con i martiri palestinesi o islamici, sul fatto che il personaggio dice: “No, perché i kamikaze si buttavano contro i nemici di guerra e non contro la popolazione civile”. Per cui c’è tutta una riflessione su quello che è stato poi considerato il kamikaze, su quelli che sono considerati adesso kamikaze.

Poi, guarda, c’era un film davvero delizioso, che adesso sto cercando di ricordare, era una mattina… molto spesso ad Udine ci sono delle cose bellissime che non ti aspetti, di registi sconosciuti, comunque era questo... Hello Jun’ichi, ecco, molto carino. E poi anche uno dei film dell’inizio del festival, Fuku-chan of Fukufuku Flats: sono commedie, dove un po’ tornano gli stessi caratteristi, che sono un po’ i tipici caratteristi del cinema giapponese, personaggi grotteschi. In questo secondo film, uno di loro, che è un attore – il nome non lo ricordo – davvero brutto, spesso in film comici ha le parti del mostro, e qui fa la parte del maestro che si innamora della supplente, che invece è una ragazza bellissima. È un film delizioso sull’infanzia, una commedia molto divertente, un film molto spensierato, come poi in effetti sono i film che si vedono qui perché sono film di genere. E pure questo è un film interessante. Non saprei dare, insomma, una tendenza da quello che abbiamo visto qui, non emerge una tendenza netta, perché il cinema giapponese sembra anche molto complesso, va, si dirama, ha tantissimi percorsi.

Accennavi prima al fatto che, a parte i film giapponesi, ci sono molti film o comunque un certo numero di film che parlano di Giappone…

(Ridendo) ...Forse più interessanti, anche. Ce ne sono due che mi hanno colpito molto. Uno ancora per un problema storico, si intitola Kano, ed è un film Taiwanese, in realtà tutto parlato in giapponese. Non ricordo una sola battuta non in giapponese. Questo film comincia negli anni ’40, con il personaggio di un ufficiale giapponese nella Taiwan occupata dai giapponesi, che dice “Abbiamo ricondotto Taiwan sotto l’impero giapponese, Taiwan è diventato una terra florida”. Ed effettivamente la visione dell’occupazione giapponese è assolutamente positiva. Questo fatto da un regista taiwanese... non so, non vorrei poi addentrarmi in questione storiche, ma ho visto film dove la questione non era così semplice. In Città dolente di Hou Hsiao-hsien, per esempio, l’occupazione giapponese non è certo vista così! In questo caso il film tratta di una squadra di baseball – tra l’altro il baseball è lo sport nazionale giapponese – che qui è una squadra taiwanese durante l’occupazione, quindi prevede giocatori sia autoctoni taiwanesi che giapponesi, e che poi gioca il campionato giapponese, cioè gareggia contro squadre dell’Hokkaido, e altre squadre di tutto il Giappone.

C’è sicuramente l’idea dello sport come elemento di coesione antirazzista, perché la squadra è una squadra mista. E anche se c’è un momento in cui dei giornalisti dileggiano i giocatori taiwanesi, in realtà l’ideale messaggio del film è che la squadra coesa vince. E tra l’altro tutto è tratto dalla vera storia di una vera squadra giapponese/taiwanese con un allenatore giapponese. C’è un momento poi, anche un po’ retorico, dove, a un certo punto dalla pellicola, che è il tipico film sportivo alla Fuga per la vittoria, tra le poche digressioni dalle cose sportive, viene inaugurato un canale navigabile costruito sotto l’occupazione giapponese, in maniera molto retorica definito il più lungo canale navigabile asiatico, comunque si fa vedere che sotto l’occupazione giapponese sono state fatte delle opere importanti. Adesso io non vorrei sovrainterpretare… Taiwan vive un momento molto delicato … per cui non so cosa voglia dire.

Non ci addentriamo in questioni politiche...

Un altro film (qui andiamo un po’ più sul demenziale) è 3D Naked Ambition, un film di Hong Kong del regista Chapman To, regista/attore e protagonista del film, che si vede molto spesso qui a Udine, un personaggio molto simpatico... i suoi film sono in effetti delle commedie grottesche ma molto forti, pesanti. Questo film racconta del protagonista che vuole diventare regista di film porno e decide da Hong Kong di andare in Giappone perché evidentemente è la Mecca del film porno... Quindi organizza, crea una società di produzione in Giappone, contattando le maestranze dell’ambiente del cinema a luci rosse locali – mi pare di aver capito che ci sono proprio i veri attori/attrici porno giapponesi nel film o comunque sembrerebbe ammiccare ai divi di questo tipo. Però c’è una cosa che io ho trovato eccezionale, ad un certo punto nel girare film porno in Giappone il regista fa un film kaijū, cioè un film di mostri, in una variante porno. Chiaramente il film non è porno, per cui ci sono questi mostri che stanno devastando – com’è tipico dei kaijū – la città di cartone, cioè una città che si vede benissimo essere ricostruita; ci sono poi delle donne travestite, poi arriva l’eroe, modello Ultraman... io questa scena l’ho trovata geniale per come è costruita.

Quindi tante cose interessanti e tanti spunti. Sempre a proposito della programmazione, i film visti, le tendenze, eccetera: adesso si parla molto di globalizzazione, e di globalizzazione in Asia, dal punto di vista culturale. Secondo te è possibile, oggi, nel 2014, parlare di un cinema “asiatico”?

Allora, se ne parliamo storicamente assolutamente no, perché ogni cinematografia asiatica ha la sua storia. Per esempio, quella del cinema giapponese è antichissima, nasce dal teatro kabuki, da compagnie del teatro kabuki che cominciano a utilizzare la macchina da presa. In Cina nasce a Shanghai, a Hong Kong poi c’è tutto il discorso della rivoluzione culturale, per cui non si possono fare film di un certo genere in Cina, e le compagnie cinesi si trasferiscono ad Hong Kong… Per cui ogni cinematografia ha le sue peculiarità. Qualche connessione emerge, però io reputo che gli stilemi siano comunque radicati e consolidati, e che ogni cinematografia sia a sé stante. Poi diverso è il discorso parlando di cinema d’autore, di cinema di genere… Adesso per esempio il cinema filippino sta emergendo in maniera davvero maestosa in tutti i festival. Ci sono autori filippini importantissimi, però anche loro sono unici. Anzi secondo me ogni regista filippino è un qualcosa sé stante. E’ vero che una cosa che molto spesso torna, è l’occupazione giapponese in questi paesi ex-colonie; anche nel cinema filippino torna spesso... episodi anche cruenti, massacri… nonostante ci sia una tendenza a cercare di comprendere la mentalità degli occupanti. Però io vedo tuttora poche intersezioni a livello produttivo. Un altro discorso certo meriterebbe il fatto che il cinema di Hong Kong si è praticamente fuso con quello cinese, ma è davvero un altro discorso. Peraltro c’è stata un’influenza reciproca, nel senso che si dice ormai che se Hong Kong è tornata alla Cina, il cinema cinese è stato monopolizzato da quello di Hong Kong, perché comunque il cinema cinese oggi è fortemente impregnato di quello che è stato il cinema di Hong Kong. Se poi pensiamo a certi personaggi come Jackie Chan che è diventato in Cina un’autorità, credo anche politica, importantissima… però insomma, in generale ti direi di no.

Un’altra domanda, invece, cambiando completamente tema: secondo te quali sono i motivi per cui le produzioni cinematografiche giapponesi – e non solo giapponesi in realtà, ma anche cinesi, coreane, filippine, eccetera – sono ancora così poco presenti nelle sale italiane, nonostante il successo… perché qui c’è molta gente, a Udine viene pubblico da tutta Italia e pubblico non soltanto di esperti, operatori, come nel tuo caso, ma anche di semplici spettatori.

Anzi questo è un festival dove noi operatori siamo pochi, relativamente pochi, non ci sono per esempio le firme importanti dei grandi giornali, a parte qualcuno, magari da giornali veneti. Però comunque questo è più un festival popolare, assolutamente. Allora… bella domanda. Oltre tutto, quello che si vede a questo festival è che il cinema popolare asiatico io trovo sia mediamente migliore del corrispettivo hollywoodiano. Non voglio dire che il cinema hollywoodiano è morto, ma penso che stia attraversando una fase di stagnazione davvero forte; invece in oriente c’è una grande vitalità, c’è ancora il concetto di autore di cinema di genere… cioè di autori/registi che sanno dare un’impronta forte anche facendo film meramente con lo scopo dell’incasso, mentre Hollywood lo vedo ormai piattissimo, dove credo il cinema sia una questione di cose fatte a tavolino, dove si deve in qualche modo trovare il modo di incassare di più. Per cui una bella domanda! Io non credo nemmeno che sia un discorso culturale, perché ormai con la globalizzazione… non è che questi film abbiano un linguaggio astruso, trattino cose strane… io penso banalmente sia un’arretratezza italiana nelle case di distribuzione che non capiscono le potenzialità di queste cinematografie… se non appunto sporadiche aperture,… già in Francia è tutto un altro discorso, ma anche negli Stati Uniti, in Inghilterra, anche proprio a livello del mercato dell’Home Video si trova tantissimo, mentre in Italia si fa molta fatica a veder arrivare in commercio certe cose. Per cui boh, secondo me è proprio una questione di poco coraggio dei distributori italiani. Poi ci sono i casi eclatanti quando il film, non so, cinese vince a Venezia o a Cannes, come appunto il film thailandese di qualche anno fa che ha vinto a Cannes, di Apichatpong Weerasethakul, e allora forse lì un po’ si decide, ma non vedo molto entusiasmo; secondo me pensano: “Ha vinto Cannes, vabbè distribuiamolo, però giusto perché ha vinto Cannes.”

Infatti sono casi eccezionali, sporadici, legati a vittorie eclatanti in festival importanti.

Ma non c’è mai continuità in questi discorsi, non c’è quasi mai, nel senso che comunque il film che ha vinto a Cannes rimane il film distribuito, poi il regista non è che viene seguito. Anche il regista Zhang Yimou, regista cinese che comunque usciva molto in Italia, ormai i suoi ultimi film non sono più distribuiti. C’è anche secondo me un peggioramento in Italia, poi possiamo anche discutere del fatto che gli appassionati ormai queste cose le possono recuperare in mille modi e non c’è neanche il bisogno che escano in sala, perché comunque il fan o se li scarica illegalmente o li acquista online, per cui per un appassionato come me spesso se esce qualcosa in sala dice: “Ah sì, ma questo l’ho già visto chissà quante volte.”

Ieri sono andata a una conferenza sui social media in Asia, sulla diffusione, lo sviluppo dei social media, dove si metteva in evidenza come in realtà i social, le piattaforme social, stiano sempre più diventando dei mezzi per scambiare informazioni, e alcuni sono proprio dedicati al cinema. Non ci sono solo in Asia, ci sono anche in Europa e in Italia, meno sviluppati, sicuramente rispetto a quello che vediamo in Cina e Giappone per certi versi, però ci sono. Riflettevo su questa diffusione attraverso i canali del web, che passa attraverso uno scambio di informazioni, rating, opinioni, ma anche attraverso siti dedicati a video dove puoi scaricare o guardare in streaming più o meno legalmente, sappiamo che questo mondo esiste e c’è un pubblico. Questo non può stimolare i distributori o al contrario appunto come dicevi tu in realtà dicono: “Ma tanto se lo son già visti, poi non vanno a vederlo al cinema”

In realtà c’è un discorso del genere. Sono pochi i distributori illuminati che queste cose le seguono a volte.... adesso non riesco a ricordarmi chi è il distributore, però qualche anno fa sono stati distribuiti in DVD i film di Miike Takashi, regista cultissimo giapponese: anche lì tutti bene o male li avevamo già visti, li conoscevamo, però sono usciti in DVD in Italia, ma ricordo che avevano avuto l’intelligenza di mettere in copertina una citazione da Asianworld, che è proprio un sito che fa traduzione di sottotitoli, un sito appunto di quelli (ce ne sono altri ma non sul cinema orientale) che sono interessanti, nel senso che sono dei volontari, dei ragazzi che prendono i sottotitoli dall’inglese e li traducono e li mettono a disposizione. Per qualcuno può essere un incentivo all’illegalità, ma non è detto, perché uno potrebbe comprarsi il dvd originale e poi usare quei sottotitoli. Però questo vuol dire che il distributore all’epoca pensò che era utile in qualche modo strizzare l’occhio a questo mondo e non vederlo come un nemico. Poi c’è la Tucker, che poi è la casa di distribuzione legata e nata poi in seno al festival, al Far East, sta facendo delle cose notevoli, non so bene quale sia il loro mercato, però sempre qualcosa molto di nicchia, alcune uscite… ricordo un film di John Woo, uscì in agosto, quindi c’è anche secondo me una difficoltà distributiva per queste cose.

Anche a proposito di Thermae Romae, si parlava dell’uscita del film l’anno scorso a giugno perché io ricordo che volevo proporlo a NipPop 2013, perché avevamo come ospite Yamazaki Mari, però non l’ho fatto perché sembrava che dovesse uscire nelle sale da un momento all’altro... e invece lo stiamo ancora aspettando.

Tra l’altro è un film che ha avuto delle proiezioni un po’ anomale a Milano e Roma, e in entrambi i casi è stato un cult assoluto.

Ti facciamo un’ultima domanda: un pronostico sul vincitore?

Allora, mah, io non lo so. Su queste cose sono sempre un po’ cauto… perché devo dire, premessa, in genere mi interessano poco i vincitori ai festival, sia nel caso di giurie blasonate sia, come in questo caso, di giurie popolari. Non so… sento nell’aria che il film di cui vi parlavo, The Eternal Zero , ha avuto molto consenso di pubblico. C’è da dire che i giochi sono sempre aperti fino all’ultimo film, stasera c’è Thermae Romae II che può scombussolare tutto, perché Thermae Romae comunque anche l’altra volta a Udine fece un grande boom. Secondo me l’importante è comunque che siano passati dei film di qualità, a prescindere da chi vince insomma.

Ti ringraziamo tantissimo per questa conversazione davvero interessante e ti chiediamo un saluto per i nostri amici di NipPop.

Grazie a voi e grazie a te. Un saluto agli amici di NipPop! Ciao!

Grazie Giampiero Raganelli per la sua disponibilità.

 


 

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