Japanese Heels - Lacerazioni: riflessioni su 'Occhi nella notte' di Yamada Eimi

Pensieri, parole, visioni, fragili come i più sottili e slanciati dei tacchi a spillo. Una rubrica firmata M.me Red.

 

È il 1985 quando esce Beddo taimu aizu (Occhi nella notte) di Yamada Eimi (1959-).

Spoon sa bene come prendermi. Sa come prendere il mio corpo, non il mio cuore. Sa come tenermi stretta a sé, mentre io, nonostante abbia tentato, non ci riesco.[…]Sarebbe stato più facile se qualcuno mi avesse ordinato di fare in un certo modo e basta. Avrei seguito le istruzioni alla lettera. Come un burattino privo di volontà avrei leccato le ferite di Spoon, non solo il suo uccello . (Yamada Eimi, Occhi nella notte, Marsilio, Venezia 1994, p. 9).

L’incipit già chiarisce quello che il romanzo racconta, con un linguaggio crudo, esplicito, tagliente: l’incontro tra Kim, giapponese, cantante di locali notturni, e Spoon, un disertore afroamericano. La voce narrante è quella di Kim, che ripercorre le tappe di una passione consumata tra droga, alcool e violenti rapporti sessuali. Il minuscolo appartamento di lei è il chiuso e soffocante teatro della torbida routine quotidiana dei due amanti. In sottofondo, il rap newyorkese, il pianoforte jazz di Thelonious Monk; in primo piano, i corpi nudi: la pelle chiara di Kim, l’ebano di Spoon.

E poi odori, sapori, liquidi densi e speziati: una scrittura prepotentemente dei sensi, vista, tatto, gusto, olfatto. Immagini vibranti che si intrecciano ai dialoghi asciutti, volgari, dove lo slang dei bassifondi newyorkesi si mescola a quello dei quartieri malfamati di Tokyo.

Il corpo di Spoon rigato di sudore, nero, splendente, era cioccolato caldo, a morderlo sarebbe stato dolce. Tutto qua. Era solo questo che cercavo aggirandomi per Tokyo come una pazza? E quell’uomo chi è per me? È davvero tanto importante? Why? Where? When? Tutti gli interrogativi che mi gettavano nella confusione più totale cominciavano per W, mi sentivo come se stessi per vomitarli tutti in una volta. (ibidem, p. 67) .

Ad avere catalizzato l’attenzione di pubblico e critica è stato prima di tutto il linguaggio, così esplicito, insolito in una donna, e in secondo luogo la figura della protagonista, indipendente, disinibita, padrona del proprio desiderio. Ma a ben vedere, Kim è meno trasgressiva di quanto può apparire a una lettura superficiale: proprio la ripresa del più trito degli stereotipi culturali – la potenza sessuale del maschio nero – riconduce anche la protagonista nell’alveo di una femminilità tradizionale, naturale.

Il picco emozionale del racconto si raggiunge quando entra in scena Maria, la migliore amica di Kim. La donna seduce Spoon, e il tradimento, con il dolore e il senso di smarrimento che ne conseguono, provoca uno slittamento della relazione, da un piano meramente fisico a un piano più intensamente affettivo. Ma è troppo tardi: l’uomo viene scovato e prelevato dalla polizia militare, e Kim rimane sola. E' questa la vera cifra del romanzo, la solitudine, lacerante, assoluta. L’aggrapparsi di Kim e Spoon l’una al corpo dell’altro non è altro che un inutile e disperato tentativo di sfuggire al vuoto dell’assenza. Assenza di comunicazione, di comprensione. Ma la fusione dei corpi non può colmare il baratro, e il sesso più sfrenato non vale a guarire le ferite dell’anima.

(da Roberta Novielli – Paola Scrolavezza, Lo schermo scritto. Letteratura e cinema in Giappone, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia 2012)

 
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