Watanabe Hirobumi torna al FEFF27 con una nuova pellicola in anteprima mondiale, dato che l’uscita prevista è proprio agosto 2025! The Scary House (Kowai ie) è diretta e interpretata da Watanabe stesso, come ormai siamo abituati a vedere nei suoi film indie che dal 2021 vengono presentati al Festival di Udine.
Proposto al cinema Visionario nella serata del 25 aprile, con una produzione composta esclusivamente dalla famiglia Watanabe (non solo i due fratelli Hirobumi e Yūji), vede il ritorno di Yanagi Asuna (Techno Brothers, 2023) nei panni dell’esperta di fenomeni soprannaturali Kirishima Kyoko.
Seguendo lo stile che caratterizza Watanabe, anche questo film si presenta come una produzione casalinga, low-budget, che fa del tratto amatoriale il perno sul quale si basa anche l’umorismo che permea la storia, questa volta declinata in chiave horror. Infatti, a Watanabe-personaggio viene offerto un lavoro per la modica cifra di 300.000 yen (circa 1800 euro): passare sette notti in una casa presumibilmente infestata da presenze sovrannaturali e collegata a fatti di sangue. Il regista accetta immediatamente, suscitando ilarità per la sua situazione economica, ma soprattutto per il suo fermo razionalismo scientifico.
Se le prime notti passano relativamente senza problemi, dalla terza notte in avanti i fenomeni paranormali iniziano a diventare problematici anche per lo scettico Watanabe, che chiama in aiuto il suo amico cameraman Yamaguchi e la sopracitata Kirishima, invitandoli a dormire con lui nella casa infestata. Nel frattempo, molti abitanti della cittadina, intervistati da Watanabe proprio nel suo intento di creare un mokumentary sulla sua esperienza, lo mettono in guardia su una presunta maledizione che grava sull’immobile.
Il film è, in realtà, un horror solo nominalmente: il low budget e il climax della storia, che culmina in una possessione e in un tentato esorcismo, hanno sempre un’aura di ilarità che li circonda, e si aggiunge al nonsense tipico delle produzioni firmate Watanabe. Nonostante presenti qua e là dei cosiddetti ‘jumpscare’, il film risulta divertente e, con i suoi 99 minuti, scorre senza troppi intoppi, anche se la seconda parte perde un po’ dell’interessante piega da finto-documentario.
Sono chiari i riferimenti e gli omaggi a questo genere di produzioni, come l’antesignano Blair Witch Project (1999) di Daniel Myrick e Eduardo Sánchez, per poi dare spazio a opere ispirate come Paranormal Activity (2007) di Oren Peli e REC (2007) di Jaume Balagueró e Paco Plaza.
Watanabe riesce nell’intento di omaggiare una sottocategoria di horror, caratterizzata da riprese semi-amatoriali che si alternano tra segmenti girati con telecamera fissa e hand-held, un cast ristretto, un setting composto a tutti gli effetti da una singola location (nonostante le interviste ai cittadini, la città non diventa mai infatti protagonista del racconto) e un’unità di tempo della vicenda scandita da una sorta di data di scadenza imposta, quei sette giorni che richiamano senza scampo Ringu (1998) di Nakata Hideo.
Ma Watanabe non si limita all’omaggio, è palese infatti l’intento sovversivo della pellicola, che rielabora il genere in chiave chiaramente parodistica, senza sfociare però mai nel demenziale, come spesso accade in famose riletture statunitensi, il che rende quindi la pellicola quasi ordinaria e goffa, senza quel pathos ansiogeno che gli horror girati in prima persona tendono a voler suscitare.
Consigliato per una divertente ora e mezzo passata con il nostro cineasta indie preferito.