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NipPop x FEFF24: Intervista a Miki Satoshi

12 Maggio 2022
Giulia Colelli

 

 


Appassionati di Godzilla e altri kaijū? Allora non potete perdervi la nuova fantastica opera di Miki Satoshi (già famoso per In the Pool, e It’s me, it’s me): What to do with the dead kaijū? (Daikaijū no atoshimatsu 大怪獣のあとしまつ). Un film che si pone una semplice domanda: cosa farne del corpo senza vita del super-mostro una volta sconfitto?

 

https://www.youtube.com/watch?v=nsyn36MG3pU

Q: Dicono che in questo film sia presente il kaijū più grande della storia del cinema giapponese. È vero? E se sì, come siete riusciti a crearlo? Che effetti speciali avete utilizzato? 

Miki: A dire il vero non abbiamo fatto una ricerca approfondita, e per questo motivo non possiamo esserne del tutto sicuri. Detto questo, riteniamo che sia davvero il kaijū più grande della storia del cinema giapponese. Il mio ragionamento è stato più o meno questo: “È morto, non si muove… quindi perché non farlo enorme?”. Per questo penso che sì, potrebbe davvero essere il più grande di sempre.

Q: I film sui kaijū sono un classico del cinema giapponese, ma solitamente si concentrano solo sull’attacco del mostro e non su ciò che ne consegue. Vorrei chiederle come mai ha deciso di approfondire questa nuova prospettiva sul genere, diversa da quella a cui siamo abituati. 

Q: Sinceramente, non volevo fare il solito kaijū eiga (“film sui kaijū”). Mi sono solo chiesto cosa sarebbe successo dopo i classici combattimenti e calamità che caratterizzano le storie di questo tipo. È questo che mi sono domandato tutto il tempo, quindi proprio non c’era l’intenzione di fare un classico film action. Inoltre, il Giappone in passato ha subito tragedie come quella dell’11 marzo 2011, quando abbiamo dovuto affrontare un fortissimo terremoto e un incidente nucleare. E tutto ciò è stato qualcosa di reale, non fiction, quindi… Ecco, volevo rappresentare come gli esseri umani, come le persone, come noi abbiamo dovuto affrontare quella catastrofe. Questa è la ragione principale che ha dato il via al progetto

Q: La prossima domanda riguarda invece la satira politica presente nel film sul governo e sui ministri. Potrebbe approfondire questi temi?

 

Miki: Sì, ho rappresentato intenzionalmente con sguardo cinico e irrisorio il governo, i ministri e la politica. Quando ho deciso di fare questo film non era ancora iniziata la pandemia, quindi non era mia intenzione rappresentare la concretezza di come la gente abbia dovuto affrontare il Coronavirus e il caos che ha scatenato in tutto il mondo. Poi, però, ho visto come i politici e i leader mondiali in assenza di informazioni corrette possano prendere delle decisioni molto stupide. Durante la produzione ho notato tutto questo, questo periodo interessante che stiamo attraversando. Una delle parti più sarcastiche del film è sicuramente il nome che ho dato al kaijū, “Kibō”, che in giapponese significa “speranza”. È uno degli esempi del tipo di umorismo che ho voluto inserire, ma anche dell’insieme di sentimenti contrastanti che ho provato durante la realizzazione del progetto.

Q: I kaijū, sin dagli anni Cinquanta, sono sempre stati un simbolo della paura nei confronti dell’energia e degli armamenti nucleari. In questo film, però, il kaijū è una non-presenza: c’è, ma è morto. Sta lì, non si muove, non è più vivo. Si tratta per caso di una metafora dell’energia nucleare come fonte di energia ormai morta e di cui dovremmo disfarci, oppure c’è un qualche altro possibile significato associato alla produzione energetica e agli armamenti atomici?

Miki: Il primo film giapponese sui kaijū è stato Godzilla [1954, ndr], che in qualche modo simboleggia l’esposizione all’energia nucleare. Da allora abbiamo continuato a fare film con i kaijū che riprendevano questo richiamo all’energia nucleare e le armi che la utilizzano, assieme ad altri messaggi politici. Io non stavo pensando solo al nucleare e ai suoi effetti sull’essere umano, ma anche al modo in cui questa energia e il genere dei kaijū eiga si evolveranno in futuro. Volevo lasciare degli indizi, far pensare al pubblico sia alle strutture del passato sia a quelle nuove, del futuro. C’è sempre resistenza di fronte a ciò che è nuovo, e io volevo che questo progetto fosse una novità – per questo motivo al momento del rilascio ci sono state, come d’altronde è normale, delle piccole controversie. Alcuni non sono riusciti a capire questo nuovo modo di immaginare il genere, ma mi è tutto sommato piaciuto il dibattito che c’è stato. Quando persone come me tentano di portare in tavola qualcosa di nuovo ci sono sempre controversie e fazioni che si formano ed entrano in conflitto fra loro, è normale. Se vogliamo dare nuova forma a ciò a cui siamo già abituati si presenteranno sempre delle difficoltà, ma è proprio questa la sfida che volevo affrontare.

Q: Quanto ha impattato la pandemia sul film? Nelle scene iniziali ci sono dei giornalisti e conduttori televisivi che dicono ai cittadini di restare a casa, vediamo strade e metro deserte… uno spettacolo molto familiare per chiunque abbia vissuto la pandemia.

 

Miki: Abbiamo provato a continuare la produzione del film per due mesi, ma dopo appena uno abbiamo dovuto mettere in pausa tutto per via della pandemia. Durante quel periodo ho potuto constatare coi miei occhi come per le strade e nelle città non ci fosse nessuno. In particolare, mi ha colpito molto vedere l’incrocio di Shibuya completamente deserto. Ho avuto quindi il tempo di riflettere su come sarebbe stato tutto dopo la morte del kaijū, comparando le mie idee alla realtà della pandemia. Ci sono tantissimi aspetti che ho preso dalla vita vera: per esempio, il precedente Primo Ministro giapponese [Suga Yoshihide, ndr] durante un’intervista nei primi tempi della pandemia si è dato uno strano nomignolo. Mi è parso un qualcosa di assurdo, sembrava che si stesse prendendo gioco delle difficoltà che tutti noi stavamo attraversando. È questo il tipo di humor che ho preso dalla nostra realtà e che ho riutilizzato in alcuni segmenti del film.

Q: Verso la fine del film scopriamo la vera identità del protagonista, un chiaro omaggio a Ultraman, cosa che si deduce facilmente dai suoi poteri, dalle sue caratteristiche e dal suo ruolo di deus ex machina. Al contempo, però, a questa trasformazione viene dato pochissimo spazio all’interno del film. Il dare poca attenzione a questa “altra identità” del protagonista è una scelta intenzionale? Oppure è stata una questione di diritti?

Miki: Proprio così. Era molto difficile ottenere i diritti per l’uso di Ultraman, e quindi abbiamo cercato di fare dei riferimenti a lui senza mostrarlo direttamente. Oltre a questo motivo, inoltre, abbiamo pensato che non fosse necessario mostrare la sua figura direttamente: era facile dedurre dal film che si trattasse di lui, e anche il messaggio che rappresenta era già abbastanza chiaro.
Vorrei aggiungere, inoltre, che il personaggio di Ultraman in Giappone simboleggia la Guerra Fredda fra gli Stati Uniti e la ex-URSS. La trama del film fa già riferimento a delle “ombre” della nostra storia recente, e per questo non ho voluto fare riferimenti espliciti ad altri avvenimenti storici inserendo direttamente il personaggio di Ultraman.

Q: È stato difficile lavorare a un film del genere, con moltissimi effetti speciali? Soprattutto considerando che il progetto è stato realizzato durante la pandemia.

 

Miki: Durante la pandemia lavorare alla produzione è stato particolarmente difficile perché abbiamo dovuto fare attenzione a molte cose in più del solito. C’è stato bisogno di potenziare i controlli sanitari, e abbiamo avuto necessità di assumere dello staff extra che si occupasse della sanificazione. Questa è stata sicuramente una delle difficoltà che abbiamo incontrato. Detto questo, ci sono stati anche degli effetti positivi, per esempio l’essersi abituati a comunicare e a incontrarsi tramite Zoom (come stiamo facendo adesso per questa intervista) ha reso in qualche misura più semplice interagire coi professionisti che si sono occupati degli effetti speciali.

Q: Satira politica a parte, il suo film critica anche i governi locali e centrali e il modo in cui tendono a gestire l’ambiente, sia quando tentano di preservarlo sia quando devono affrontare calamità naturali e disastri ambientali.

Miki: Quando ci troviamo di fronte a disastri ambientali, o qualsiasi tipo di catastrofe o calamità simboleggiate dai kaijū, i politici eletti in teoria dovrebbero essere ben istruiti e pronti a gestire la crisi, dovrebbero ispirare il comune cittadino. Nella realtà, però, capita spesso che non riescano ad affrontare i problemi e le emergenze in modo intelligente… e va bene così, sono esseri umani come noi, può capitare di non fare la scelta giusta, anche se spesso ci arrabbiamo coi politici o con chiunque abbia l’onere di gestire le redini per tutti noi. Io ho voluto prendermi un po’ gioco di loro, rappresentandoli mentre inscenano una sorta di “commedia”. Non so come funzioni nei vostri Paesi e se i vostri politici facciano scelte giuste o scelte sbagliate, se commettano errori stupidi, se affrontino queste problematiche in maniera un po’ buffa oppure no. Io volevo portare in scena una “commedia politica” ponendo enfasi sulla sua umanità. A questo punto ho io una domanda da porvi: come funziona da voi il mondo della politica? Siete riusciti a rivedere il vostro Paese nel mio film?

Q: Credo che una delle ragioni per cui abbiamo trovato il film divertente sia proprio che siamo riusciti ad associare alcune delle figure rappresentate con quelle al nostro governo o di cui sentiamo parlare quotidianamente. Certo, il film è ambientato in Giappone, ma alcuni messaggi sono universali e tutti noi possiamo rivederci in essi.

Miki: Sì, è vero. Anche con quel che sta accadendo al momento, con la guerra fra l’Ucraina e la Russia, nessuno che sta ai piani alti ha detto che è stupido continuare a combattere, che dovremmo fermarci. Proprio per questo credo che quanto accade nel film possa accadere anche nella vita vera. A volte mi viene rabbia a pensare alla Seconda guerra mondiale, a come in fin dei conti non

abbiamo appreso niente da quella tragedia. Chi sta al governo ha frequentato le migliori scuole e università, dovrebbero essere persone intelligentissime… e comunque arrivano a fare certe cose. Chissà perché, mi chiedo… Spero che la pace torni presto in Europa. 

Q: Avevo una curiosità riguardo alla scena dopo i titoli di coda [in cui viene annunciato un sequel del film, ndr]… Si tratta di un annuncio reale che coinvolgerà un nuovo progetto oppure si tratta di una parodia di scene simili, spesso collocate alla fine dei film di supereroi americani? 

 

Miki: Si tratta di un semplice omaggio ai film di supereroi. Dubito che qualsivoglia produttore cinematografico giapponese accetterebbe di prendersi in carico un nuovo lungometraggio legato a questo progetto. [Ride]

Q: Poco prima del rilascio del film in Giappone è stato pubblicato un manga molto popolare chiamato Kaiju No. 8 [di Matsumoto Naoya, ndr] che, come la sua opera, affronta il tema di come disfarsi dei cadaveri dei kaijū sconfitti. Il film, però, affronta in maniera più approfondita questo discorso, mentre il manga va sin da subito in una direzione differente. Vorrei chiederle se conosce questo manga e se abbia in qualche modo aiutato il film nell’ambito del marketing.

Miki: A dire il vero sino a poco tempo fa non lo conoscevo. Ho letto alcune recensioni in cui veniva menzionato, ma il mio progetto è cominciato nel 2006, ovvero quindici anni fa… Non credo che il manga allora venisse già pubblicato, e quindi non c’è correlazione fra le due opere.

Q: Ha cominciato a pensare a questo film molto tempo fa, eppure la produzione è cominciata solo di recente. Qual è la ragione di questo distacco temporale fra ideazione e realizzazione?

 

Miki: Non riuscivo a trovare produttori cinematografici disposti a prendersi in carico un progetto tanto folle, ecco perché c’è voluto molto tempo. [Ride]

Q: Il film non è andato male al botteghino giapponese, ma non si può neanche definire un successo come altri film. Pensa che sia in parte dovuto al fatto che il film è arrivato al cinema durante la pandemia?

Miki: Certo, il momento in cui il film è uscito non è stato dei migliori per via della pandemia e tutto il resto. Apprezzo però molto il supporto di Shōchiku e di Tōei, due dei maggiori studi cinematografici giapponesi, che hanno accettato di finanziare una commedia tanto folle e carica di humor. Credo che oggi ci sia ancora speranza e uno spazio per chi ha idee originali nell’industria cinematografica giapponese. 

Vorrei lasciare un ultimo messaggio. Spero con tutto il cuore che la pace torni in Europa.

 

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