Antiporno è un film sregolato, eccessivo, carnale. Il capolavoro di Sono Sion, uscito nel 2017, sconvolge e fa riflettere, come del resto tutte le opere del regista.
Nel 2016 la famosa casa di produzione cinematografica giapponese Nikkatsu ha lanciato il Roman Porno Reboot Project, un progetto composto da 5 film-revival per celebrare i 45 anni dall’uscita del primo roman porno. Le pellicole appartenenti a questo genere, molto diffuse negli anni ’70, erano film softcore rivolti a un pubblico adulto che dovevano sottostare a una serie di regole chiare e rigide: il budget doveva essere basso, le riprese non dovevano impegnare la troupe per più di 7 giorni, la durata doveva aggirarsi fra i 70 e gli 80 minuti e, cosa più importante, dovevano contenere una scena di sesso ogni 10 minuti.
Tra i registi scelti da Nikkatsu per far fronte a questo ambizioso progetto non poteva mancare il fuoriclasse Sono Sion, creatore di Antiporno (Anchiporuno).
Antiporno è, però, molto più di un roman porno del nuovo millennio: Sono Sion vi ha inserito tutta la sua estetica visionaria e ultra-violenta e, come sempre, anche un’acuta critica sociale che non sfocia mai in moralismo.
Il film si apre in una stanza color giallo canarino, un colore in forte contrasto con il rosso della stanza accanto. Lo spazio in cui siamo proiettati è già insolito e straniante: è il monolocale in cui abita Kyoko, una scrittrice e artista contemporanea, rivelazione del panorama culturale giapponese, tanto che la sua agenda è fitta d’impegni e interviste con i più importanti magazine internazionali. A ripetere il programma del giorno è la sua assistente Noriko, donna di mezz’età completamente schiava della giovane Kyoko che sfoga su di lei tutte le sue frustrazioni e i suoi capricci, al punto che durante il primo servizio fotografico del giorno chiede alla donna di spogliarsi e di lasciarsi stuprare dalle due assistenti della fotografa, che si dimostra complice ed entusiasta delle umiliazioni che Kyoko infligge alla donna.
A circa 30 minuti dall’inizio del film si sente però l’urlo di un regista che ci comunica che tutto quello a cui abbiamo assistito era di fatto finzione cinematografica: nella “realtà” Noriko è un’attrice di lungo corso prepotente e insofferente verso Kyoko, una debuttante insicura alle prese con il suo primo ruolo da protagonista. Da questo momento in poi sarà sempre più chiaro che di “reale”, nel film, non c’è essenzialmente nulla. Gli spazi cambiano in modo improbabile tanto che il concetto di distanza diventa obsoleto e inutile, ma soprattutto non esiste più alcun rapporto causa-effetto e il tempo non procede in progressione cronologica: Kyoko (attrice debuttante) torna a casa dopo le riprese del film e comunica ai genitori che sta recitando in un roman porno, poi esce e decide di perdere la verginità in un bosco con un passante, dopo di che va a fare il provino per lo stesso roman porno con il quale è partita la sequenza.
Antiporno, a poco a poco, si mostra dunque per quello che è realmente, ovvero un’opera concettuale, quasi una performance teatrale: un’esplosione di violenza, colori, sesso finalizzata a rappresentare un mondo ipocrita e in conflitto a cui, come sempre, Sono Sion non risparmia aspre critiche.
L’attacco del regista è diretto contro la società giapponese nella sua interezza ma parte della critica dell’istituto famigliare. Una famiglia in cui la sessualità è un taboo infrangibile, in cui i genitori bollano il sesso come qualcosa di sporco e sudicio, salvo poi goderne in camera da letto. E proprio questa ipocrisia di fondo scatena il conflitto generazionale fra genitori e figli e il teenage angst tipici dei film di Sono, ovvero quel senso di angoscia e frustrazione che porta gli adolescenti a scatenare le proprie pulsioni spesso in maniera autodistruttiva: è proprio la falsa morale del padre, colto a fare sesso con la matrigna, che spinge Kyoko a diventare a tutti i costi una ‘puttana’ (baita 売女). Questo termine nel film si oppone a ‘cagna’ (o meglio ‘cane’ – 犬 inu): ‘cagne’ sono le donne che pensano di essere libere ma in realtà sono schiave delle norme imposte dalla società, alle quali obbediscono ciecamente, sono quelle donne che parlano male del sesso pur facendolo; le ‘puttane’ invece sono le donne veramente libere, che sono riuscite ad affrancarsi dalle ipocrite regole sociali. In Antiporno l’elemento di critica sociale è filtrato attraverso il punto di vista femminile, se non femminista, che domina per l’intera durata della pellicola.
È però nel punto di vista estetico e tecnico, più che nei temi trattati, che torna il Sono Sion dissidente, onirico e ultra-violento che negli ultimi tempi aveva lasciato spazio a una versione più moderata di se stesso (ad esempio in Shinjuku Swan 新宿スワン o in Love & Peace). La componente metafilmica non è una novità nelle opere del regista così come la violenza gratuita che domina l’intera pellicola. A ritornare sono anche il richiamo all’eroguro (エログロ), il tema dell’umiliazione sessuale e i riferimenti alle pratiche erotiche del sadomasochismo, il binomio dominazione/sottomissione.
La fotografia è, come sempre, estremamente curata, le inquadrature indagano a fondo la natura dei personaggi in una narrazione che è, principalmente, psicologica e il semplice cambio di luci ribalta l’atmosfera e le sensazioni che uno spazio o una scena riescono a comunicare allo spettatore.
Anche in questo caso Sono Sion è riuscito a dare prova del suo talento e della sua originalità trasformando i limiti di genere (quelli del roman porno) in un’occasione per dare sfogo al suo estro creativo.
Antiporno è un grande palcoscenico in cui il regista mette in scena magistralmente le sue sferzate contro la società contemporanea attraverso metafore (come quella della lucertola e della farfalla), monologhi ed esplosioni di colore.