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NipPop con Anna Specchio: ‘Arrivederci, arancione’

7 Agosto 2018
Leonardo Minore

Dal Giappone, una storia sull’incontro fra persone, lingue e culture, e sulla comprensione dell’altro, tra solitudine e diversità: Arrivederci, arancione. NipPop ha incontrato l’autrice della traduzione italiana, Anna Specchio.

Arrivederci, arancione (trad. it. di Anna Specchio) – pubblicato in Italia nel 2018 da Edizioni e/o – è il romanzo d’esordio della scrittrice giapponese Iwaki Kei, nata a Ōsaka nel 1971 ma residente in Australia da diversi anni, che si è aggiudicato i prestigiosi premi Dazai Osamu nel 2013 e Ōe Kenzaburō nel 2014. NipPop ha intervistato Anna Specchio, traduttrice e ricercatrice che si occupa di letteratura femminile contemporanea e moderna.

NipPop: Iwaki Kei è una giapponese residente ormai da tanti anni in Australia e nel suo testo sono presenti personaggi di culture molto diverse tra loro; secondo te questo ha influito sullo stile di scrittura dell’autrice e quindi, indirettamente, anche sulla traduzione?

Anna Specchio: Iwaki Kei vive in Australia da più di vent’anni, e immagino che questo fattore abbia influito non poco sulla sua scrittura. Compone periodi molto lunghi, fa un abbondante uso del katakana e ricorre a un gran numero di sinonimi. Raramente usa ripetizioni e spesso accosta i vocaboli in maniera creativa. Quando in fase di traduzione mi è capitato di consultare dei madrelingua per chiarire il significato di alcune espressioni, mi è stato detto che l’immagine evocata non era immediata neanche per loro. Arrivederci, arancione è stato candidato al premio Akutagawa, e tra i giudizi consultabili on-line ho letto che Ogawa Yōko ha apprezzato in particolare l’acribia con cui Iwaki Kei ha selezionato ogni singolo termine all’interno del testo e il suo uso delle parole in generale. L’importanza delle parole e del potersi/sapersi esprimere in una lingua è uno dei temi toccati all’interno del testo, e credo che l’opinione di Iwaki Kei emerga bene nel finale, che non spoilero per chi ancora deve leggere il romanzo.

Chiaramente, ogni scelta compiuta a monte dall’autrice andava riflessa e riportata nella maniera più fedele possibile nella traduzione italiana. Ho cercato di mantenere un registro alto e di utilizzare vocaboli più ricercati, e anche di mantenere la creatività di alcuni accostamenti e le poche ripetizioni presenti in originale. Così come dopo averne parlato con la editor che mi ha seguita in fase di correzione delle bozze ho voluto mantenere in inglese le due mail che compaiono di punto in bianco nel testo: erano in inglese in originale, e dovevano lasciare al lettore italiano la stessa sensazione di estraneità che immagino abbia provato il lettore giapponese (e le protagoniste della storia).

Veduta cittadina di Portland nello stato australiano di Victoria

NipPop: Riguardo sempre alla vita dell’autrice e alle varie tematiche del libro, se dovessimo inserire questo testo in un ambito letterario, a quale potremmo associarlo? Letteratura giapponese, australiana, della migrazione oppure altro?

Anna Specchio: Global literature? In un’intervista, Iwaki Kei ha dichiarato che la sua scrittrice preferita è Jhumpa Lahiri, statunitense di origine indiana, e che quando legge predilige l’inglese per i romanzi brevi e il giapponese per i romanzi più lunghi – per una questione di familiarità e dimestichezza con la lingua – ma che i suoi figli riescono a leggere entrambe le lingue in scioltezza. Stando alle sue parole, il futuro della letteratura ha un carattere ibrido, proprio come i suoi figli, e non è forse quello che da Stoccolma hanno voluto comunicarci assegnando il Nobel a Ishiguro? Alcune tematiche sono universali, non hanno confini spaziali né temporali. Arrivederci, arancione vede come protagoniste una donna africana, una donna giapponese e una donna italiana in un territorio neutrale e lontano per tutte, l’Australia. I temi toccati superano ogni distanza, anche geografica. Il fatto poi che sia stato scritto da una giapponese residente all’estero ha stupito anche i suoi connazionali, abituati a storie decisamente meno esotiche.

NipPop: I tuoi temi di ricerca riguardano la letteratura femminile moderna e contemporanea: secondo te quale rappresentazione della donna emerge da questo libro?

Anna Specchio: Salima, Sayuri e la loro amica italiana sono tre donne molto diverse. Ognuna di loro arriva da un contesto socio-culturale assai distante, e ognuna di loro si trova in quel piccolo paesino della costa australiana per ragioni differenti. Leggendo il romanzo, mi sento di dire che emergono due aspetti in particolare che accomunano loro e gli altri protagonisti: rappresentano una minoranza e affrontano la difficoltà nel raccontarsi e nel raccontare (quella che la critica giapponese Iida Yūko definisce katarinikusa). Salima è africana, richiedente asilo e divorziata. Sayuri è giapponese, sembra incapace di adattarsi e ha perso una figlia. Nessuna di loro riesce a comunicare alla perfezione con il prossimo, questione che si ricollega immediatamente con l’integrazione. Anche i vicini di casa di Sayuri sono isole: la donna indiana rappresenta una minoranza nella minoranza in quanto immigrata senza permesso di soggiorno permanente, mentre il camionista, nonostante sia australiano, è analfabeta. Il direttore del supermercato dove lavora Salima invece è “diverso” da tutti i suoi coetanei e connazionali. Rappresenta l’estraneo nel proprio paese. Ma, a differenza di loro, Salima e Sayuri affrontano la difficoltà del sapersi raccontare e del raccontare. Si spogliano di ogni armatura e affrontano la realtà di petto (Salima lo fa molto prima di Sayuri), determinate a non appartenere più a nessuna sottocategoria o minoranza. Sono due donne sensibili che hanno saputo fare della propria fragilità il punto di forza da cui ripartire.

Per citare le parole di Salima:

“Nella sua lista di cose da fare a ventinove anni non c’era scritto da nessuna parte che dovesse lasciarsi andare a sentimentalismi e tentare di persuadere il prossimo adducendo scuse di ogni sorta. […] Non c’era neanche scritto che dovesse affondare in lacrime per via di una ferita. Era finalmente riuscita ad afferrare la vita, e non aveva la benché minima intenzione di farsi mettere i bastoni tra le ruote da niente e da nessuno […]”.

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