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Il giardino dell’amicizia: ‘Amici’ di Yumoto Kazumi

7 Gennaio 2015
Tania Sarti
“Moltissimo tempo fa, quando ero ancora piccolo, un vecchio mi spiegò che morire significava non respirare più. Dopodiché, per lungo tempo, ho continuato a pensare che fosse vero. Però non lo è. Voglio dire, mica vivere è soltanto respirare. Non può essere affatto soltanto quello.”

(Yumoto Kazumi, Amici, trad. di Daniela Guarino, Atmosphere Libri, Roma 2014)
 
 
 
Kiyama, Kawabe e Yamashita sono tre dodicenni che trascorrono il loro tempo tra la scuola, il doposcuola e gli allenamenti sportivi. Nessuno dei tre è popolare, né ha una buona situazione familiare ma ognuno sa di poter contare sull’altro. L’estate del sesto anno di scuola sembra inaugurarsi nel grigiore della pioggia, ma un evento inaspettato scuote le loro vite: la morte della nonna di Yamashita.
Cos’è la morte? Cosa significa morire? I ragazzi sono impauriti e al contempo affascinati da questo grande ignoto, al punto di voler trovare personalmente le proprie risposte. Kawabe propone così di spiare un vecchio del vicinato ormai prossimo alla morte, in modo da essere testimoni dei suoi ultimi momenti di vita. Come piccoli detective i tre ragazzi organizzano turni di pedinamento appostandosi di fronte alla piccola casa fatiscente dell’anziano. Il loro piano sembra funzionare, finché il vecchio non si accorge di essere seguito e inizia a spiare a sua volta il trio che, a poco a poco, sconvolge la sua solitaria quotidianità, aiutandolo nelle mansioni domestiche fino a ridare completamente vita alla sua casa, estirpando le erbacce dal giardino e anche dal suo spirito. Da una curiosità nata per gioco si instaurerà una profonda amicizia che cambierà per sempre le vite di tutti, conducendoli a comprendere non solo il significato della morte ma anche quello della vita. vincitore del Boston Globe-Horn Award nel 1997, romanzo d’esordio di Yumoto Kazumi, Amici (titolo originale Natsu no niwa 夏の庭) affronta un argomento difficilmente trattato nella letteratura per ragazzi: la morte.
La morte non è una tematica di facile discussione, tanto nella letteratura quanto nella società, ma l’autrice ne fa un punto di partenza dal quale sviluppare la propria riflessione: ridare alla morte la sua componente umana, che sembra completamente dissolta nella società giapponese contemporanea (e non solo giapponese), significa, al contempo, prendere atto delle problematiche sociali che interessano soprattutto i giovani e che li spingono, sempre più di frequente, a scegliere la morte come via di salvezza dai dolori della vita. I protagonisti portano infatti il peso di realtà complesse: la madre di Kiyama è un’alcolista, il padre di Kawabe se n’è andato di casa e si è risposato, i genitori di Yamashita nutrono aspirazioni troppo alte per il futuro del figlio. In un paese che non lascia spazio agli anziani, dove il rapido invecchiamento della società e la dissoluzione della coabitazione di più generazioni nella stessa katei, ovvero la casa in quanto famiglia, stringere un legame intergenerazionale rappresenta non solo la riscoperta del rapporto che lega nipoti e nonni, quello stesso nonno perduto che l’autrice cerca di ricordare, ma anche un modo per esorcizzare la morte che, se all’inizio del romanzo è motivo di fascinazione e molla della vicenda, viene alla fine riconosciuta come parte del processo della vita. Tale immagine è esemplificata dal giardino del vecchio: dapprima morto perché soffocato dalle erbacce, trova nuova vita grazie ai semi dei fiori di elleboro piantati dai ragazzi. La rinascita del giardino rispecchia tutti quei ricordi che “fluttuano nell’aria, si dissolvono nella pioggia, penetrano nella terra e continuano a vivere, introducendosi nel cuore di qualcun altro.” Il personaggio del vecchio è quindi un punto cardine, incarna sia la guida mancante nelle vite dei ragazzi, sia la fonte da cui attingere conoscenza, sia un porto sicuro in cui esprimere e scoprire se stessi. Comprendere che morire, in fin dei conti, non significa sparire, perché il vecchio resterà per sempre accanto ai ragazzi, come una sorta di guida, di “amico dall’aldilà”, non lascia più spazio alla paura, né all’ingenua curiosità. I tre giovani uomini sono pieni di aspettative, obiettivi, animati dalla voglia di vivere una vita ricca come quella del vecchio, pronti ad affrontare il viaggio più affascinante di tutti, perché, come dice Kawabe: “Però, sapete cosa vi dico? In realtà è molto più misterioso essere vivi. Ne sono certo.”
 

Yumoto Kazumi

 

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