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God save the Queer – Influenze reciproche di pop, moda e animazione tra il Giappone e l’occidente

23 Maggio 2018
NipPop Staff

God save the Queer! In perfetto tempismo col Royal Wedding Fabrizio Modina ha infiammato il palco del Teatro del Baraccano.

Fabrizio Modina, esperto di didattica nel mondo del design e di storia della mitologia moderna e già ospite di NipPop nel 2016, ci parla del queer e della diversità ripercorrendo la storia del travestitismo nel pop, nell’animazione e nel cinema.

Si parte dal teatro kabuki, che inizialmente prevedeva solo donne come attrici: bandite dai teatri, tocca agli uomini ricoprire anche i ruoli femminili, dando vita a una vera e propria cultura “ibrida”. L’influenza giapponese del trucco arriva in Occidente, dove si iniziano a vedere le prime figure di artisti e letterati che superano il confine tra ciò che è “da uomo” e ciò che è “da donna”: la scrittrice George Sand, che si firma da uomo e si veste come tale, l’attrice e scrittrice Colette, che crea scandalo per le sue opere, a Louise Brooks, che nell’immaginario collettivo è spesso associata ai personaggi “a la garçonne” che interpretava, fino a Marlene Dietrich, la prima diva di Hollywood a vestirsi da uomo. Immagine dopo immagine, Modina ci racconta come il queer, l’eccentricità si diffondono in diversi ambiti nel corso degli anni: nella moda, con gli abiti di Elsa Schiaparelli dipinti da Dalì, nell’animazione giapponese, con l’atipica protagonista de La Principessa Zaffiro di Osamu Tezuka, e nel cinema di maestri come Billy Wilder e Hitchcock.

È la musica a essere veicolo di grandi cambiamenti a livello dell’identità durante gli Anni ’60: da Elton John a David Bowie, artisti spiazzano e stupiscono pubblico e fan con lustrini, tacchi e occhiali appariscenti. È proprio David Bowie il primo a collaborare con un nipponico, il designer Yamamoto Kansai, e a indossare sgargianti e stravaganti costumi, non a caso inizialmente concepiti come abbigliamento femminile. Nelle parole di Modina, è proprio nel trucco dell’artista nel video di Life on Mars – eterocromia degli occhi, trucco, colore dei capelli — che si percepisce il vero significato di queer come “eccentricità”.

I lustrini, l’elemento visuale eccessivo e ambiguo continuano negli anni ’70, decennio della musica disco, fino al look androgino degli Eurhythmics, al lato più black, più dark, quasi inquietante dei Cure e a Prince, che ha fatto dell’essere “weird”, dell’essere “queer” la propria arte. Celebre è rimasto l’aspirapolvere usato da Freddie Mercury nel video di I Want To Break Free, nel quale i componenti del gruppo vestono tutti abiti femminili.

Nell’animazione e nel cinema è il travestimento che permette di cambiare, quasi una trasformazione necessaria che rende possibile ciò che non lo era prima: così Modina parla di musical come Victor Victoria e Yentl di Barbra Streisand, oppure di cult come Mrs. Doubtfire. Per quanto riguarda l’animazione non si può non citare Lady Oscar (Versailles no bara) di Riyoko Ikeda, nella sua indimenticabile protagonista costretta a vivere come un uomo sin da bambina, e Ranma ½ di Rumiko Takahashi, dove l’omonimo protagonista si trasforma in ragazza a causa di sfortunate circostanze.

Modina conclude citando esempi più recenti di travestitismo nella cultura popolare, dal video di One degli U2, a Conchita Wurst, quasi un’unione tra i sessi, fino a Shōjo Kakumei Utena di Chiho Saito, dove l’amore tra ragazze è un tema centrale.

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