In occasione del primo appuntamento con Waiting for NipPop, tenutosi il 13 marzo 2019, andiamo ad approfondire quello che è stato l'interessante tema dell’incontro: il cannibalismo nella letteratura.
Prospettive sul cannibalismo
Il cannibalismo o più correttamente l’antropofagia, indica la pratica di cibarsi di carne umana. Tale costume era diffuso per lo più fra le popolazioni indonesiane, sud americane e africane. Sebbene agli occhi degli esploratori e dei coloni europei risultasse una pratica disumana e raccapricciante, per queste popolazioni il significato era ben diverso. Per alcune tribù il cannibalismo si caratterizzava come la suprema offesa bellica tra gruppi ostili. Cibarsi del proprio nemico non significava solamente assorbire il valore del nemico, ma anche impedire che il suo spirito potesse vendicarsi. Per altre tribù invece l’antropofagia coincideva con una fase delle cerimonie funebri. Mangiare il cadavere dei propri congiunti significava assicurare allo spirito del defunto la sopravvivenza. La percezione del cannibalismo, quindi, cambia a seconda della realtà culturale di riferimento. In ambito letterario questo comportamento è stato variamente utilizzato come atto di vendetta o attestazione di supremazia, ma anche ai fini della satira.
Cannibalismo come atto di prevaricazione
In Europa il cannibalismo è percepito come un atto agghiacciante e disumano. Nel contesto letterario viene usato frequentemente in opere di genere horror, proprio perché suscita nel lettore un senso di repulsione. Fra le varie prospettive dalle quali viene affrontato il cannibalismo troviamo l’associazione a un atto di supremazia. Esemplare è il mito di Saturno che divora i propri figli affinché non lo spoglino dei suoi poteri. Il cannibalismo è qui calato in un contesto dove un capo annienta completamente un rivale affermando la propria supremazia.
Antropofagia e vendetta
Cannibalismo può anche essere sinonimo di vendetta. Celebre è la tragedia greca che vede protagonisti i due fratelli Atreo e Tieste, rielaborata nel corso dei secoli da diversi autori fra i quali Shakespeare, Greenaway o Foscolo. Atreo punisce il fratello che lo ha tradito con la moglie, servendogli a cena i figli. Una vendetta macabra e sadica, un atto perverso dove l’elemento chiave che genera orrore si trova nella inumanità e nell’incapacità di provare vero affetto.
Cannibalismo come degrado
Nelle opere letterarie il cannibalismo appare anche come atto disperato per la sopravvivenza. La vicenda del Conte Ugolino è esemplare. “Poscia, più che ‘l dolor poté ‘l digiuno” (Dante Alighieri, Inferno, canto XXXIII, v.75), questa frase segna la drammaticità dell’accaduto. Il conte umiliato e ridotto alla fame finisce per mangiare i suoi stessi figli, o così sembra suggerire Dante. Il cannibalismo in questo contesto si manifesta come atto disperato. L’essere umano è posto in una condizione così degradante da annientare totalmente la ragione che reprime gli istinti.
Cannibalismo come protesta
Assai diverso è l’approccio al cannibalismo da parte di Osward de Andrade nel suo Manifesto sull’antropofagia. In questa opera l’autore cerca di recuperare e diffondere il significato originale della pratica del cannibalismo da parte delle tribù indigene, sopprimendo la figura stereotipata “dell’ indios mangiatore di europei”. Ma fa anche molto di più. Partendo dal concetto del rito visto come assimilazione delle abilità del nemico sacro, Andrade usa l’atto digestivo come metafora per presentare l’antropofagia come atto di assimilazione della cultura dominante da parte di un cultura sottomessa. Con questa provocazione l’autore mette in luce le condizioni socio-politiche del Brasile dell’epoca e denuncia l’arroganza del colonialismo europeo.
A cena con Hannibal
Nel panorama letterario, a meritare il titolo di cannibale per eccellenza è Hannibal Lecter, personaggio fittizio nato dalla penna di Thomas Harris e introdotto per la prima volta nel romanzo Il delitto della prima Luna. Tuttavia, è più comunemente conosciuto per la trasposizione cinematografica ne Il silenzio degli innocenti. La figura di Hannibal Lecter è emblematica. Il personaggio è un rispettabile medico, dalla conoscenza infinita che spazia dalla psicologia alla criminologia. Nessuno oserebbe immaginare che dietro l’elegante dottore dai modi distinti si possa nascondere un perverso serial killer dal profilo psicologico inquietante e spaventoso. Il cannibalismo di Lecter, oltre a essere collegato ai traumi infantili e al desiderio di vendetta, sfocia in un’irrazionale perversione per il gusto che prova nell’uccidere le sue vittime. Vittime che vede come meri pezzi di carne da trasformare in piatti gourmet. Il dottor Lecter sceglie accuratamente i contorni e i vini per accompagnare il pasto. Una naturalezza disarmante che genera nel pubblico un forte senso di raccapriccio. Il comportamento di Hannibal Lecter va al di là di ogni comprensione razionale e lui stesso non può che essere definito come un personaggio negativo e malvagio.