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IL BAMBINO DI DIO

21 Gennaio 2019
Domenico Maria D’Adamo

Nichilista e maledetto, la genesi dell’anticristo partorito dalle menti dei fratelli Nishioka, il vangelo soggettivista de Il bambino di Dio ( Kama no kodomo 神の子).

L’opera dei Nishioka è un tripudio di immoralità, la parabola del figlio dell’odio, la crescita del seme del male che affonda le sue radici tra le feci nel quale è stato piantato, traendone nutrimento.
Coprofagia e altre forme cliniche di parafilie sessuali si dipanano dinnanzi agli occhi del lettore che, irretito dalle tavole deformate e lontane dalla tradizione manga, pericolosamente vicine alle illustrazioni fiabesche europee e russe, prosegue nella lettura pur scosso nel profondo.

Non è un volume consigliato ai deboli di stomaco.
Le forme si intersecano e confondono, celando riferimenti sessuali, si allungano e nascondono dietro a un uso esasperato dei retini da disegno, una mistura di stili tra il gotico, l’art nouveau e il naif.
I volti dei personaggi, per la maggior parte adolescenti e bambini, si deformano per azione della lente del gore, mentre gli adulti sono volutamente privi di espressione, così come gli sfondi sono poveri di dettagli, minimalisti fino alla ridondanza.

Il protagonista, consapevole sin dal concepimento del suo ruolo e delle suo potenzialità distruttive, nasce da un’inspiegabile parto rettale e cresce, capitolo dopo capitolo, in una realtà che lo disgusta a tal punto da lasciarlo indifferente. È questo il sentimento che lo spinge ai limiti dell’esperienza umana, è la voce della coscienza che silente assiste alle sue efferatezze e scompare, non dissimile dalle coscienze di quanti emarginano chi si discosta dagli standard di mediocrità imposti dalla società. Portatori di handicap, deboli, troppo intelligenti, sono i discepoli dimenticati dal primo messia, gli adepti del secondo. Nessuno è in grado di fermare le sue azioni: i cittadini, sordi alle sconvenienze, dimenticano la sua ferocia; i compagni di classe invece accolgono la venuta del castigatore degli oppressori. È appunto tra i banchi di scuola che prende corpo la prima parte dell’opera. Le scuole giapponesi sono un luogo di ingiustizia ed oppressione, teatro in tempi recenti di scandalosi omicidi e suicidi censurati dalla memoria collettiva.

Homo homini lupus, così il figlio di Dio, che non ha bisogno di un nome, arrivato alla soglia dell’età adulta, si circonda di bambini obbedienti. Crea il suo esercito, la sua nuova famiglia, la sua setta che, ispirata dalle gesta del proprio padre spirituale, uccide senza causalità e remora alcuna, inneggiando a cannibalismo, pedofilia e orge paniche.
La vita è tragedia, e il nichilismo puro porta alla morte del protagonista per mano di un novello Giuda.

La paura, la stessa che ha dato forma umana al figlio di Dio, si dissolve minacciando un ritorno.
Perdita dei valori, attrazione per il profano, alienazione, manie d’onnipotenza sono gli interlocutori di un volume muto, privo di discorso diretto, dove la narrazione è affidata al solo protagonista che osserva la sua disfatta fuoricampo, l’autobiografia del caos.

Il bambino di Dio è edito in Italia da Dynit, per la collana Showcase curata da Asuka Ozumi, tradotto da Juan Scassa e disponibile dal 15 novembre 2018 in libreria e fumetteria al costo di 15,90€, in un volume unico da 192 pagine.

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