Le interviste di M.me Red: Antonietta Pastore e ‘L’incolore Tazaki Tsukuru’, ovvero di Giappone e di emozioni

 La vostra M.me Red, come sapete, di tanto in tanto si diletta di traduzioni, e quindi non può non essere felice per il meritatissimo Premio Noma conferito ad Antonietta Pastore, alla quale tutti gli appassionati di letteratura giapponese sono debitori. Sue infatti le traduzioni di alcuni degli autori più interessanti del panorama moderno e contemporaneo, da Natsume Sōseki a Kawakami Hiromi a Murakami Haruki.

Ed è proprio per la bella versione italiana del suo L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio che Antonietta Pastore ha ricevuto il prestigioso riconoscimento: il 21° Premio Noma per la Traduzione di Letteratura Giapponese. Il premio è stato istituito dalla casa editrice Kodansha nel 1989, con l’obiettivo di promuovere la conoscenza della letteratura giapponese all’estero e la comprensione reciproca fra il Giappone e le altre nazioni. Perché in fondo questo è il ruolo -  e il merito - del traduttore.

M.me Red a questo punto si ritira, e lascia la parola ad Antonietta Pastore. Ma non prima di avere ringraziato l’arguto autore dell’intervista, Luca B. Fornaroli.

NipPop: Qual è la caratteristica principale dello stile di Murakami, in un testo ricco di sfumature, a dispetto dell’incolore Tsukuru?

Antonietta Pastore: Lo stile di Murakami è di solito molto semplice, ‘parlato’. Murakami ha la capacità di calarsi non solo nei personaggi, ma anche negli ambienti in cui questi si muovono. Ad esempio, quando parla di cinque ragazzi compagni di liceo, riesce a farci entrare davvero in un liceo giapponese, a farci vivere l’atmosfera che lo caratterizza,  le interrelazioni tra ragazzi che possono essere molto complesse e anche drammatiche. Se invece descrive per esempio un ufficio in cui lavora una persona, in questo caso Tazaki Tsukuru, crea esattamente l’ambiente dell’ufficio, dove le relazioni personali si sviluppano in modo diverso rispetto a un liceo, l’atmosfera, i dialoghi e i gesti sono diversi. È questa la caratteristica di Murakami: pur conservando uno stesso stile linguistico molto spontaneo, sapersi spostare da un ambiente all’altro, permettendoci di entrarvi. Non ci lascia a guardare dall’esterno ma ci porta  a viverli dall’interno.

Nel racconto di una vicenda storica però, o del passato di una persona, il periodo può diventare più articolato, e in questo caso lo stile, pur restando molto scorrevole, acquisisce eleganza.

 

NipPop: Come si entra nella scrittura di Murakami? Come si riesce a vedere con gli occhi dell’autore e come si trasferisce tutto in italiano? In altri termini, qual è il tuo processo creativo? perché noi partiamo dal presupposto che anche la traduzione - come la scrittura -  è un processo creativo. A parte il fatto che tu sei anche una scrittrice...

Antonietta Pastore: Sì, il fatto di essere una scrittrice probabilmente aiuta: come dici tu, la traduzione è anche un processo creativo, bisogna saper ricreare atmosfere di una cultura tanto diversa dalla nostra. Ma c’è da dire che è Murakami stesso a farci entrare nella sua scrittura. E’ considerato uno scrittore universale, non uno scrittore tipicamente giapponese, quindi entrare nelle sue atmosfere non è così difficile. La distanza non è tale quale può essere quella che c’è tra noi e un Kawabata, ad esempio, o un Tanizaki; le atmosfere di Murakami sono molto più simili alle nostre. E comunque è lui che ci accompagna. Devo dire che, avendo io tradotto tanto di suo, mi risulta ancora più facile: quando inizio a tradurre un libro di Murakami è come se ritrovassi un vecchio amico, perché conosco già i suoi tic linguistici, so cosa vuole dire, dove vuole andare a parare, per usare un’espressione non elegantissima. E questo mi aiuta a capire un personaggio, a ‘sentire’ le atmosfere e poi renderle in italiano.

Ma ad aiutarmi in questo senso è anche il fatto che io conosco bene i giapponesi. Penso che bisogna un po’ dimenticare che si sta parlando di giapponesi. Per esempio, quando mi trovo a rendere un dialogo fra giovanissimi, a volte cerco di immaginare, cerco una soluzione (e ne parlerò dopo, quando arriviamo alle cose tecniche), cerco di immaginare quale sarebbe il dialogo tra due ragazzi italiani, come parlerebbero in una situazione analoga. E questo riesco a farlo perché ho molta confidenza con i giapponesi, ho vissuto a lungo in Giappone, ho avuto delle relazioni sentimentali (sono stata sposata con un giapponese), quindi li conosco bene, intimamente, e questo annulla la distanza e mi permette poi di ricreare figure e atmosfere con una certa naturalezza in italiano. Ovviamente questa è solo la mia percezione, è molto difficile valutare i fattori inconsci, tutto quello che interviene a plasmare la scrittura.

NipPop: Hai sottolineato il fatto che hai tradotto molto di Murakami, e quindi è un autore che ormai conosci molto bene. Che cosa hai trovato di diverso in questo libro rispetto per esempio a Nel segno della pecora, o anche ad altre opere?

Antonietta Pastore: In Murakami ci sono due filoni principali: uno è quello della nostalgia, del senso di perdita, l’altro quello della fantasia, del surreale, dei mondi paralleli, del fantastico che entra nella vita quotidiana. Nel segno della pecora appartiene più a questo secondo filone, come anche L’uccello che girava le viti del mondo, 1Q84 e tanti altri. Tazaki Tsukuru appartiene al filone nostalgico, lo stesso di Norwegian Wood e di quel bellissimo romanzo che è A sud del confine, a ovest del sole. L’incolore Tazaki Tsukuru è una sorta di concentrato degli elementi già presenti in questi lavori, perché è tutto sulla nostalgia, sul senso di perdita ed è molto coerente rispetto agli altri libri di Murakami. Anzi, forse è il più coerente, quello che ha una trama più lineare, anche se si conclude con un finale aperto, come spesso succede nei romanzi di Murakami: dipende forse dall’influenza di Natsume Sōseki, scrittore che lui ama molto. In Tazaki Tsukuru predomina un senso di perdita, ma anche una certa dolcezza, che è nuova, dovuta forse all’età. Anche Murakami invecchia, anche lui viene a patti con la vita, magari inizia ad accettare alcune cose che da giovane accettava meno, e scopre il piacere di ritrarle con una sfumatura più pacata. C’è anche l’irreale, o meglio il surreale in Tazaki Tsukuru, però secondo me qui assume più un significato allegorico, non è una realtà altra che entra nella narrazione, ma piuttosto una metafora.

NipPop: Tornando al lavoro di traduzione di questo romanzo, quali sono state le difficoltà tecniche principali che hai incontrato?

Antonietta Pastore: La principale, forse l’unica - anche se di peso - riguarda l’uso dei pronomi. Perché come tu sai, in giapponese ci sono molti più pronomi che non in italiano. Soprattutto l’uso del “tu”, in particolare nel dialogo tra Tazaki Tsukuru e il suo ex amico Aka, presentava una grossa difficoltà: mentre Aka si rivolge a Tsukuru utilizzando “omae”, che è molto brusco - si usa per esempio tra compagni di liceo, ma rivolto a persone estranee suonerebbe come un insulto - Tsukuru non riesce a trovare questa confidenza nel corso del dialogo. Murakami, proprio in riferimento a “omae”, ripete più volte che Aka usa lo stesso linguaggio confidenziale che i due utilizzavano da ragazzi, ma io non potevo renderlo in nessun  modo  in italiano quindi ho optato per la soluzione di far esprimere Aka in modo un po’ più sboccato. Alla fine del dialogo però si arriva a un passaggio fondamentale del romanzo, perché, dopo che Aka si è confidato e ha raccontato della sua omosessualità, Tsukuru riesce finalmente a rivolgersi a lui con  “omae”, esattamente nel punto in cui alla  domanda di Aka - sei arrabbiato con me? - risponde  - ma io non ce l’ho mai avuta con te! - . E questo “te” in giapponese è “omae”. In italiano come potevo renderlo? Si tratta di un punto fondamentale del libro, il momento in cui il protagonista ritrova il suo vecchio amico e si riconcilia con lui. E anche Murakami si riconcilia un po’ con le amarezze della vita. Non si può privare il lettore di un messaggio così importante. Ci ho riflettuto a lungo, e mi sono interrogata su cosa direbbe un italiano a un amico in questa situazione. Ecco, mi è venuto spontaneo tradurre - ma io non ce l’ho mai avuta con te, scemo! -. Così dopo posso continuare dicendo che Tazaki Tsukuru aveva ritrovato la confidenza con il suo ex amico. Perché bisogna anche un po’ inventare, quando la soluzione tecnica non c’è. Nel senso che bisogna inventare una soluzione ‘psicologica’, rendere, più che le parole, il sentimento del personaggio in quel momento.

Bisogna trovare delle soluzioni che non sono linguistiche, quando le soluzioni linguistiche non ci sono. Io spesso, quando sono in difficoltà, consulto - dove si può fare - traduzioni straniere: inglesi, francesi, spagnole, tutto quello che posso consultare. E ho constatato che a volte i traduttori, piuttosto che fare una brutta traduzione, preferiscono saltare il passaggio, trascurare una sfumatura, e forse è meglio così. Succede anche a me, è inevitabile che nella traduzione alcune cose si perdano. Ma in questo caso che ho appena descritto non era possibile, perché si sarebbe perso un momento fondamentale del libro.

NipPop: Questa tua ultima osservazione ci porta esattamente all’ultima domanda. Infatti tu hai sottolineato che in realtà molto spesso ci si confronta con problemi che non sono prettamente linguistici, ma piuttosto emotivi. L’incolore Tazaki Tsukuru è attraversato da emozioni molto forti, e spesso contrastanti: la rassegnazione, la nostalgia che hai già citato, la tensione, il mistero.  Come sei riuscita a rendere così bene la sovrapposizione costante di questi elementi, che in giapponese è facile da rendere da un punto di vista linguistico, ma che invece in italiano crea non poche difficoltà?

Antonietta Pastore: Prima di tutto ti ringrazio: mi dici che sono riuscita a renderli bene! In realtà penso che conti anche l’età, nel senso si arriva a un momento della vita in cui si sono provati spesso tutti questi sentimenti. Rassegnazione, nostalgia e anche per fortuna tensione e mistero.

La capacità di renderli bene forse è proprio legata a questo. E poi al fatto che, avendo molta confidenza con il Giappone, mi dimentico un po’ che i personaggi sono giapponesi e per me diventano dei personaggi e basta. Quindi li faccio parlare come parlerebbero i miei nipoti o miei amici, le persone che conosco. Perché poi in realtà in fondo siamo tutti uguali, non ci sono tutte queste differenze...

NipPop: Quindi la chiave è la confidenza con il Giappone e con le emozioni.

Antonietta Pastore: Bisogna abbattere la barriera che c’è spesso tra Giappone e lettore occidentale. I giapponesi sono sempre stati considerati ‘strani’. E’ vero: hanno un modo di esprimersi diverso, ma in fondo siamo tutti uguali. L’importante è arrivare a quel nocciolo al di là della facciata, e Murakami ci permette di farlo. E’ lui il primo ad aiutarmi.

NipPop: Non per niente, come dicevi tu, è considerato uno scrittore universale ormai, non più semplicemente uno scrittore giapponese. Adesso ti godi questo momento, questo premio meritatissimo, ma le tue prossime fatiche quali sono?

Antonietta Pastore: La mia prossima fatica, grossa fatica, è il prossimo libro di Murakami, che uscirà il 24 febbraio in Giappone. 1000 pagine.

NipPop: Una bella sfida.

Antonietta Pastore: Sì. Il titolo è qualcosa del tipo  L’uccisione del cavaliere, ma non se ne sa nulla, come sempre succede con i libri di Murakami. Anche il titolo lo sappiamo solo da un paio di settimane. Sono un po’ preoccupata perché sono 1000 pagine, ma sono anche contenta e in grande attesa. Un po’ eccitata, non vedo l’ora di vederlo.

NipPop: Antonietta, grazie mille per il tuo tempo.

Antonietta Pastore: Grazie a te.

 

Antonietta Pastore è traduttrice dal giapponese di Murakami Haruki, Natsume Soseki e Kawakami Hiromi, e scrittrice. Con Einaudi ha pubblicato Nel Giappone delle donne (2004), Leggero il passo sui tatami (2010) e Mia amata Yuriko (2016).

La nostra Francesca Scotti in passato ha avuto l'occasione di intervistare Lorenzo Ceccotti, illustratore de La Strana Biblioteca: leggete qui la sua intervista.

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